La foto di mio padre
seconda e ultima parte
I miei fratelli lo capirono subito.
Aldo mi propose di venire a lavorare con lui, visto che di studiare non ne volevo sapere. Aveva preso a cuore il suo ruolo di capofamiglia e m’intimava di non procurare altri dispiaceri a nostra madre indicandomi la foto di mio padre. Sinceramente l’immagine di mio padre non poteva certo incutermi molto timore. Quell’unico ritratto presente in casa era un primo piano non troppo a fuoco tratto da una foto risalente al matrimonio di un cugino di mia madre. Lo mostrava un po’ sorpreso, un po’ scocciato, mentre era distolto, con ogni probabilità, dall’ingozzarsi a qualche buffet, com’era solito fare a certi appuntamenti. Però ci somigliavamo, il volto tondo e olivastro, i capelli corvini e ricci, foltissimi, il naso aquilino, la pelle grassa, la stessa fossetta posta in mezzo al mento come una scanalatura in una pingue valle ai piedi di una montagna a cono, certamente due meridionali come tanti a Torino.
Di tanto in tanto mi macchiavo di piccoli reati, furtarelli con qualche mio amico per pagarmi la dose, quando non potevo farlo cercavo di sparire un po’ dalla circolazione. Avevo scoperto che prostituendomi in un determinato giro di gente potevo tirare su un po’ di soldi che mi sarebbero bastati per un paio di settimane. Non male.
Il mio cliente abituale era un professore universitario che viveva con una madre anziana in un villino poco fuori la città. Andavo da lui preferibilmente la sera con il mio motorino che parcheggiavo alla cancellata, senza curarmi di legarcelo con una catena, la zona era tranquilla. Era un omino placido, pulito, timido e passivo, pagava molto bene. Come anche un gallerista del centro, ma molto più richiedente e che aveva anch’esso una passione per droghe molto pesanti. In ogni caso roba buona.
Poi un giorno la cosa si seppe a casa.
Si arrivò così ai ferri corti con mio fratello che ora mi minacciava di buttarmi fuori di casa.
Ma a sorpresa se n’andò prima mia sorella.
Rimase incinta del suo amante che non ne voleva sapere di sposarla e lasciare la sua famiglia. Anche mio fratello, che non voleva avere ulteriori impicci, la scaricò dicendogli che l’unica cosa da fare era abortire.
Concetta comunque frequentava anche il fratello di una sua collega che faceva il carabiniere, dopo poco gli fece credere che il figlio che portava in grembo era suo. Andarono via, a Carpi dove lui fu trasferito, si sposarono e mia sorella non ci chiamò.
Ma so di certo che mia madre ha una sua foto con il marito e il figlio che chiamò Antonio, come mio padre.
Una sera ero con un mio amico dietro casa, proprio nei giardinetti dove giocavo a pallone da bambino e mi rincorrevo nella polvere con gli altri figli del quartiere, ci stavamo facendo una dose e mi sentii male, svenni e non ebbi tempo quasi di capire cosa stesse succedendo. Era eroina tagliata con qualche polvere cementizia penso.
Mi risvegliai dopo un mese di coma all’ospedale.
Ma a quale prezzo!
Una trombosi celebrale mi aveva reso paralizzato completamente alla parte sinistra del corpo e anche la parte destra non era certo più autonoma.
Poco dopo il mio ritorno a casa mio fratello se n’andò, schifato dalla mia presenza, da come mia madre sembrava prendere quella vita piena d’atti dolorosi senza un lamento e dalla propria impotenza a farsi dare ascolto in quella casa.
I servizi sociali, dopo molto tempo, ci concessero la presenza al mattino di un assistente sanitario che veniva a casa a pulirmi, vestirmi, farmi la barba.
Edo appunto.
Ogni tanto Edo tardava, ma ancora peggio, telefonava perché non poteva venire. Una volta aveva la febbre, un’altra doveva andare da sua madre che stava male, un’altra volta era la banca che lo chiamava perché era in rosso. Capita no?
A pranzo, cena e alla sera per coricarmi vengono dei volontari della chiesa di quartiere dove abito, la chiesa dove mi hanno battezzato e dato la prima comunione. È gente gentile, che fa tutto questo per spirito cristiano, sicuramente un posto in Paradiso il Signore non gli e lo negherà, come dice mia madre.
Ma lei quasi non mi tocca durante il giorno. La mattina arriva nella mia camera, solleva la tapparella, mi chiama con voce arida, poi mi si avvicina e spicciativa mi tira un po’ su, di solito ha preparato una tazza di latte e caffè con del pane inzuppato e m’imbocca quella solita colazione; poi ritorna in cucina e di solito passa la giornata lontana dai miei occhi.
Parla con la foto di mio padre, gli dice che Aldo ha telefonato e sta bene, ha anche conosciuto una ragazza, ma che non passerà a farcela conoscere, che suo nipote Antonio, stando ai suoi calcoli, dovrebbe iniziare la scuola elementare quest’anno, che al mercato ci sono troppo extracomunitari a vendere le loro cianfrusaglie, che stanno costruendo dei nuovi palazzi nel quartiere che non sono più giallo marcio ma belli in muratura rossa con balconi e finestre grandi, che lo zio Ninuccio è andato in pensione, che l’inverno quest’anno stenta ad arrivare. Di me non dice nulla.
Ma non è importante. So che parlando con la foto di mio padre lei parla con me.
Forse le è più facile riconoscermi così. Ora che il mio fisico si sta trasformando ogni giorno di più per effetto dell’immobilità, delle terapie e di una più incalzante decadenza.
Una volta mi sentivo stretto in questa casa, ora mi sento soffocare nel mio corpo.
Aldo mi propose di venire a lavorare con lui, visto che di studiare non ne volevo sapere. Aveva preso a cuore il suo ruolo di capofamiglia e m’intimava di non procurare altri dispiaceri a nostra madre indicandomi la foto di mio padre. Sinceramente l’immagine di mio padre non poteva certo incutermi molto timore. Quell’unico ritratto presente in casa era un primo piano non troppo a fuoco tratto da una foto risalente al matrimonio di un cugino di mia madre. Lo mostrava un po’ sorpreso, un po’ scocciato, mentre era distolto, con ogni probabilità, dall’ingozzarsi a qualche buffet, com’era solito fare a certi appuntamenti. Però ci somigliavamo, il volto tondo e olivastro, i capelli corvini e ricci, foltissimi, il naso aquilino, la pelle grassa, la stessa fossetta posta in mezzo al mento come una scanalatura in una pingue valle ai piedi di una montagna a cono, certamente due meridionali come tanti a Torino.
Di tanto in tanto mi macchiavo di piccoli reati, furtarelli con qualche mio amico per pagarmi la dose, quando non potevo farlo cercavo di sparire un po’ dalla circolazione. Avevo scoperto che prostituendomi in un determinato giro di gente potevo tirare su un po’ di soldi che mi sarebbero bastati per un paio di settimane. Non male.
Il mio cliente abituale era un professore universitario che viveva con una madre anziana in un villino poco fuori la città. Andavo da lui preferibilmente la sera con il mio motorino che parcheggiavo alla cancellata, senza curarmi di legarcelo con una catena, la zona era tranquilla. Era un omino placido, pulito, timido e passivo, pagava molto bene. Come anche un gallerista del centro, ma molto più richiedente e che aveva anch’esso una passione per droghe molto pesanti. In ogni caso roba buona.
Poi un giorno la cosa si seppe a casa.
Si arrivò così ai ferri corti con mio fratello che ora mi minacciava di buttarmi fuori di casa.
Ma a sorpresa se n’andò prima mia sorella.
Rimase incinta del suo amante che non ne voleva sapere di sposarla e lasciare la sua famiglia. Anche mio fratello, che non voleva avere ulteriori impicci, la scaricò dicendogli che l’unica cosa da fare era abortire.
Concetta comunque frequentava anche il fratello di una sua collega che faceva il carabiniere, dopo poco gli fece credere che il figlio che portava in grembo era suo. Andarono via, a Carpi dove lui fu trasferito, si sposarono e mia sorella non ci chiamò.
Ma so di certo che mia madre ha una sua foto con il marito e il figlio che chiamò Antonio, come mio padre.
Una sera ero con un mio amico dietro casa, proprio nei giardinetti dove giocavo a pallone da bambino e mi rincorrevo nella polvere con gli altri figli del quartiere, ci stavamo facendo una dose e mi sentii male, svenni e non ebbi tempo quasi di capire cosa stesse succedendo. Era eroina tagliata con qualche polvere cementizia penso.
Mi risvegliai dopo un mese di coma all’ospedale.
Ma a quale prezzo!
Una trombosi celebrale mi aveva reso paralizzato completamente alla parte sinistra del corpo e anche la parte destra non era certo più autonoma.
Poco dopo il mio ritorno a casa mio fratello se n’andò, schifato dalla mia presenza, da come mia madre sembrava prendere quella vita piena d’atti dolorosi senza un lamento e dalla propria impotenza a farsi dare ascolto in quella casa.
I servizi sociali, dopo molto tempo, ci concessero la presenza al mattino di un assistente sanitario che veniva a casa a pulirmi, vestirmi, farmi la barba.
Edo appunto.
Ogni tanto Edo tardava, ma ancora peggio, telefonava perché non poteva venire. Una volta aveva la febbre, un’altra doveva andare da sua madre che stava male, un’altra volta era la banca che lo chiamava perché era in rosso. Capita no?
A pranzo, cena e alla sera per coricarmi vengono dei volontari della chiesa di quartiere dove abito, la chiesa dove mi hanno battezzato e dato la prima comunione. È gente gentile, che fa tutto questo per spirito cristiano, sicuramente un posto in Paradiso il Signore non gli e lo negherà, come dice mia madre.
Ma lei quasi non mi tocca durante il giorno. La mattina arriva nella mia camera, solleva la tapparella, mi chiama con voce arida, poi mi si avvicina e spicciativa mi tira un po’ su, di solito ha preparato una tazza di latte e caffè con del pane inzuppato e m’imbocca quella solita colazione; poi ritorna in cucina e di solito passa la giornata lontana dai miei occhi.
Parla con la foto di mio padre, gli dice che Aldo ha telefonato e sta bene, ha anche conosciuto una ragazza, ma che non passerà a farcela conoscere, che suo nipote Antonio, stando ai suoi calcoli, dovrebbe iniziare la scuola elementare quest’anno, che al mercato ci sono troppo extracomunitari a vendere le loro cianfrusaglie, che stanno costruendo dei nuovi palazzi nel quartiere che non sono più giallo marcio ma belli in muratura rossa con balconi e finestre grandi, che lo zio Ninuccio è andato in pensione, che l’inverno quest’anno stenta ad arrivare. Di me non dice nulla.
Ma non è importante. So che parlando con la foto di mio padre lei parla con me.
Forse le è più facile riconoscermi così. Ora che il mio fisico si sta trasformando ogni giorno di più per effetto dell’immobilità, delle terapie e di una più incalzante decadenza.
Una volta mi sentivo stretto in questa casa, ora mi sento soffocare nel mio corpo.
15 commenti:
Carlotto è sucito con un nuovo libro
robibandito
una carezza.
Ok peggio di così non può andare, nel seguito non può che migliorare....
Basta che non entri in scena Padre Pio.....
X Robibandito: e io ieri mi sono accattato "La verità dell'alligatore", anche se non potrò leggerlo prima di un mese perchè ho altre cose arretrate.
X Kinda: ricambio la carezza. :-)
X Effimeramente: è finito qui. Niente Padre Pio, anche se in effetti la citazione della presenza di un suo santino formato poster, in giro per la casa, ci sarebbe stato bene, no?
finito così? Finito COSI'?? Ma no dai!
La prossima storia la volgio con il lieto fine!!
voGLio
X Effimeramente e Marea: eh sì.. sta volta è finita così. E comunque prende spunto da una storia vera, di cui sono stato testimone. Ma di cui non posso dire altro.
ciao,
grazie per essere passato dal mio blog,
e complimenti, scrivi davvero molto bene...
...ciao, eh, lo so......se ti va puoi scrivere alla mia casa editrice ilfoglio@infol.it e poi chiedi...
ti ricordi che mi dicevi di quel posto a torino per la presentazione...dici che si può fare qualcosa....?
and
www.wrong-.splinder.com
scrivimi pure alla mia mail
infinitejesst@libero.it
se ti lascio un sorriso, la scrivi una storia più lieta?
nina
X Dario: grazie dei complimenti, anche se devo dire non ricordo bene quando sono passato da te... comunque fra tre minuti sarò sul tuo blog per rinfrescarmi le idee!!!!
X And: scriverò alla tua casa editrice, e magari domani sera passo dal cafè Liber e m'informo sulla loro disponibilità, tra l'altro, conosci qualcuno che ti possa accompaganre musicalmente? Questo aprirebbe altre opzioni...
X Nina: grazie del sorriso, vedrò quello che si può fare....
ciao
"ingenuo, sognatore un po' confuso"
nina
maurone,
hai ragione non eri passato dal mio blog, ho fatto un po' di casino coi nomi..
era and ad essere passato...
cmq grazie all'equivoco ci siamo beccati, meglio così...
per quanto riguarda gaber, ti dico la verità, lo conosco anche io poco, ma quella canzone riflette alla perfezione ciò che io penso su quella cosa chiamata chiesa...(non vorrei offendere nessuno, se qualcuno si sentisse offeso, chiedo scusa..!)
X Nina: Buondì dal territorio Subalpino anche da parte mia!!!
X Dario: i casi della vita! Certi malintesi sono poi più che graditi, e comunque anch'io sottoscrivo i sentimenti provati da quella canzone!
bello. dinamitarda
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