07 gennaio 2008

Ho iniziato l’anno come sempre. Con i soliti riti. Il più importante, il più appassionevole riguarda la lettura.
Tra le mie mani, in questi giorni, sta trovando dimora “Solea” di Jean-Claude Izzo.
Ho scoperto Izzo quattro anni fa con “Marinai Perduti” un romanzo noir con sfondo geografico Marsiglia, come tutte sue le opere. Poi è venuta la trilogia sul poliziotto Fabio Montale (“Casino totale”, “Chourmo”, e ,appunto, “Solea”), che so avrà un triste finale, perché in ogni pagina si prepara il commiato da questo testardo, poetico, affascinante, desolato, triste, arrabbiato, solitario personaggio.
Ogni capoverso delle pagine dei libri di Izzo diffondono sensazioni nell’anima, nel corpo, nella mente come nessun altro sa fare. Quello che sento ogni volta che finisco uno dei suoi libri non riuscirei mai a spiegarlo adeguatamente. Ma mi sento bene e male allo stesso tempo. La realtà di un mondo più che imperfetto mi fa venire voglia di spendere meglio la mia vita, un po’ di Montale (o del marinaio greco Diamantis) si scopre in me.
Voglia di bere un bicchiere in un bar dove ascoltare jazz o blues o Leo Ferrè, per poi affrontare la notte e la vita con i suoi pensieri e i suoi traffici.
Voglia di cercare, cercare, cercare un senso all’infinita tristezza dell’esistere umano, senza cadere nella violenza di un mondo subdolo e meschino.
Mandare il cuore al di là del narrabile, insomma porre lo sguardo teso all’orrizzonte. Dove muoiono i sogni e nascono le lacrime.

Qualche anno fa scrissi un racconto che mandai ad un concorso; finì nella cinquina finale, ma niente di più. Era un racconto buonista, un po’ ingenuo, ma alcune passaggi, forse proprio i più ispirati, erano dovuti alle letture su Izzo.
Ve lo dono.
Tra un campo di miglio e la Fiat

Efetobore generò Moboto. Moboto generò Kojaga. Kojaga generò Kalusha. Kalusha generò Tchao. Tchao generò Ahmadou. Ahmadou generò Alassane, mio padre. Alassane generò me, Cherif.
Ripeto tra me e me questa filastrocca ogni volta che ho bisogno di infondermi coraggio, o mi annoio o quando, come ora, sento nostalgia.
La città che ora mi ospita è avvolta dal buio della notte, un’oscurità falsata dall’illuminazione pubblica e industriale. Identità di qualcosa che anni fa non conoscevo affatto.
A Tivaouane, in Senegal, dove son nato, la mia gente coltiva miglio ed arachidi, qualcuno si spinge verso la costa e fa il pescatore. La sera mio padre tornava dai campi e insegnava a me e ai miei fratelli le leggende in lingua wolof, poi ci diceva di guardare le stelle che brillavano smaglianti nel cielo nero, rassicurandoci che esse ci avrebbero accompagnato ovunque, sempre, nella buona e nella cattiva sorte, perché erano le anime dei nostri antenati, indomiti guerrieri che non avrebbero lasciato soli i loro figli. Ma la mia terra ha saputo essere anche poco benevola col mio destino, così un giorno m’imbarcai a Dakar; risalii la costa occidentale dell’Africa, facendomi baciare dal vento atlantico che sferzava la mia pelle; guardando in lontananza le sponde del Sahara giurai di tornare, un giorno. Arrivai a Gibilterra. Rimasi appena il tempo di percepire la caotica presenza di traffico umano rivestire la massicciata calcarea che forma quel luogo, crocevia fra stati, continenti, culture, destini. Poi il Mediterraneo fu il tappeto di benvenuto nell’Europa del lavoro da frugare negli angoli delle opportunità. Come a Marsiglia, la mia prima vera tappa stanziale. Dove ho imparato a non sentirmi un esule solo rimanendo me stesso, amando un posto diverso come fosse casa mia. Marsiglia dai bei platani sotto di cui sorseggiare pastis nei barucci dietro al Vieux Port. Marsiglia dalle ragazze gioiose, spontanee e disincantate. Marsiglia universale, dove ogni mercato riesce a sprigionare odore e anima di qualsiasi parte del mondo. Marsiglia dal lavoro di portuale, sudore e risate.
Poi un giorno un connazionale mi disse che in Italia c’è una città che offre parecchio lavoro nell’edilizia, pare si debba svecchiare un bel po’. Chiedo se questa città è lontana, mi rispondono di no, è appena dopo le Alpi, che per questo c’è un clima meno temperato rispetto a Marsiglia, ma sa di una folta comunità Africana e Senegalese che ci può accogliere. Lì ha persino due cugini. Pensai: - È il volere dei miei antenati che mi proteggono!
Arrivai a Torino in una giornata di tarda primavera, apparendomi da subito cortese e discontinua, frenetica e distratta. Nei mesi, che divennero anni, in cui lavorai nei cantieri edili della città, partecipai ai sostanziali mutamenti urbani di questi luoghi; mi guadagnavo il pane e cercavo d’inquadrarmi tra il silenzio e la chiusura della mia comunità e le opportunità di una città sempre accesa, prestavo, quindi, orecchio ai discorsi di donne e uomini che rammentavano di centralissime piazze trafficate divenute ora salotti di stile mitteleuropeo, di plumbee vie di scorrimento che fendevano severi contesti industriali divenire ora avveniristici itinerari che affiorano all’interno di nuove sperimentazioni di convivenza. Faticavo a comprendere la chiarezza di queste parole che mischiavano: perplessità, nostalgia, moderazione con speranza, soddisfazione e fervore. L’Africa ha un altro linguaggio quando parla, meno sofisticato, che può sapere della quiete di un granello di sabbia che vola da una duna all’altra del Sahel, ma può sapere del boato delle sanguinose guerre che si spargono fragorose dalla Mauritania al Sudan.
Ero nato nella tradizione e genuinità di Tivaouane, avevo assaggiato l’universalità di Marsiglia, ora vivo nella controversa Torino. E ci vivo con una moglie, Lucia, e un figlio, Daniele. Sono stato fortunato, sarei rimasto solo se questa piccola donna, da dietro il bancone di un bar di Largo Orbassano, non mi avesse stuzzicato con il suo sorriso regolare, la sua spontaneità contagiosa e una vivacità che la rendeva attraente. E poi coraggiosa. Mi portò per mano tra la sua famiglia, tra i suoi amici, tra i luoghi di una città che vuole proiettarsi in un futuro pirotecnico, ma portandosi dietro tutta la ritrosia che ne segna un inequivocabile DNA. Non tutti erano felici di avere un nuovo “parente” o un nuovo “amico” così diverso; diverso nella pelle, nella lingua, nella religione, ma Lucia ed io dimostrammo che eravamo una normalissima coppia come tutte le altre, e come molte altre persone ci confrontavamo con le rate di un mutuo di una casa, con la ricerca dei mobili, con le bollette da pagare, con un lavoro che oggi c’è e domani…. “Beh su arrangiatevi! Fatevi un lavoretto…”. Ci hanno anche detto, in diretta televisiva. Per questo quando è arrivato Daniele il cuore mi si è allargato, penso a come poterlo educare, all’impegno che dovrò esercitare per fargli capire chi è, per che vie si snodano le sue origini, tra Tivaouane e le Alpi, tra un campo di miglio e la Fiat, tra Dio e Allah, per questo devo ricordare, e allora…
Efetobore generò Moboto. Moboto generò Kojaga. Kojaga generò Kalusha. Kalusha generò Tchao. Tchao generò Ahmadou. Ahmadou generò Alassane. Alassane generò Cherif. Cherif generò Daniele.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi è capitato di leggere un paio di anni fa "il sole dei morenti" e ricordo che una volta finito avevo deciso di leggere altri suoi libri, poi credo di essermi persa per strada..

Più tardi torno a leggere le tue righe :)

Anonimo ha detto...

maurone one one one...!
grasSie mille per la poesia di Baudelaire, che io, a dirti tutta, mi leggo mi rileggo e mi rileggerò volentieri, di mio, per ricordarmi "una certa cosa"
[ ... ]
Fa Bene ;-)

Maurone ha detto...

x marea: ti do un consiglio: torna a leggere Izzo, è veramente arricchente! E torna più spesso anche da queste parti, ci conto!!!

x mariannapuntog: son contento che hai apprezzato la poesia... e ricordare è salutare.. almeno io la penso così!!!

Anonimo ha detto...

Grazie Maurone per il racconto che condividi con noi, lo trovo molto bello e il fatto che non abbia vinto il concorso, credo, gli dà ancora più valore, visto che spesso,qesti concorsi sono "guidati". Mi sorprende anche la sinteticità in cui hai espresso una motiplicità di emozioni, stati d'animo, pensieri, atmosfere, ect. non facendogli perdere di intensità. Davvero complimenti!
Poi mi hai fatto venire la curiosità di leggere Izzo che sinceramente non conoscevo. Credo che comincerò da "marinaiperduti", qual'è il tuo preferito?
Andrea

http://veritasegrete.splinder.com/

Maurone ha detto...

x Andrea/profondoceano: grazie per aver apprezzato il racconto. Tutta la produzione di Izzo è eccezionale, marinai perduti è un ottimo modo d'iniziare, peccato solo che in Italia non pubblichino le sue raccolte di poesie che sono state numerose.

Anonimo ha detto...

lgrado solo ora, di un posto a mantova dove si tiene una sorta di fiera della letteratura, gomito a gomito con gli scrittori..quest'anno io organizzo tu? gio

Anonimo ha detto...

...anche a me piace izzo....hai mai letto renè fregnì e derek raymond?
ciao
and
www.wrong-.splinder.com

Maurone ha detto...

x gio: beh.. potrebbe interessarmi. Quand'è?

x and: non conosco gli autori che hai citato ma mi adeguerò

Anonimo ha detto...

Bello il racconto! In pochissimo spazio hai concentrato una vita intera, con intensità e calore. Si forse un poco ottimista, ma perchè pensare sempre solo il peggio?

Maurone ha detto...

x effimera_mente: Già... perchè pensare sempre al peggio?