Rosso come il sangue forte come il Barbera
Forse era troppo meravigliosa questa squadra perché invecchiasse; forse il destino voleva arrestarla nel culmine della sua bellezza. ("Carlin”)
Oggi piove. La città è grigia. Questa Torino post-industriale che fa spallucce alla crisi, meticcia che non vuol essere cosmopolita, egoista che vuole vivere di passioni, corre distratta verso un fine settimana senza patemi.
La guardo dalle finestre di casa mia. Un po’ annoiato, un po’ infastidito da un dolore al polso che mi si è verificato a lavoro improvvisamente, forse a causa di un movimento errato durante una mobilizzazione.
Piove come 58 anni fa.
Come quel giorno la gente starà sacramentando perché è maggio e magari vorrebbe andare in giro con una giacchetta, un pantalone o una gonna più leggera, magari quella comprata nel negozio in centro un paio di finesettimana prima, ed invece il brutto tempo ti lascia basito e devi tirare fuori le mantelle, che credevi di lasciare tranquillamente nel comò per i prossimo sette o otto mesi.
E io guardo fuori, in alto. E dico: ciao ragazzi.
Saluto il mio vecchio, per sempre giovane, “Grande Torino”.
Capitemi io sono un “vetero Granata”. E il 4 maggio è sempre giorno di commozione.
Valentino e i suoi compagni di squadra stavano per vincere il loro quinto campionato nazionale.
La domenica prima avevano pareggiato 0 a 0 a Milano contro l’Inter, la loro unica concorrente diretta che non si era ancora arresa all’evidenza della loro supremazia, ma era più soltanto aritmetica a tenere in piedi le speranze dei nerazzurri.
I granata si potevano persino permettere una trasferta premio in Portogallo, a Lisbona, per giocare un’amichevole contro il Benfica, per festeggiare l'addio al calcio del capitano della squadra lusitana Ferreira, amico di capitan Valentino. Oltre che per giocare, la trasferta è ghiotta per i giocatori per fare turismo e acquisti di generi vari che magari qui in Italia non si trovano ancora sui banchi di mercati e negozi. L’Italia è un paese ancora in difficoltà post-belliche, e i calciatori, all’epoca, guadagnano quanto un piccolo impiegato. Ma sono famosi. Soprattutto quelli del Torino.
Costituivano i 10/11 della nazionale. Insieme ai grandissimi ciclisti Fausto Coppi e Gino Bartali, il Grande Torino aveva contribuito con le sue imprese a dare lustro e svago a una nazione che cercava di risollevarsi dopo i terribili anni di guerra e di occupazione tedesca.
Erano una squadra di calcio ammirata ed amata.
Alle ore 17:05 del 4 maggio 1949 divennero un mito.
Il Fiat G212, un aereo piccolo e veloce, con a bordo l'intera squadra del "Grande Torino" si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della basilica di Superga, appena fuori Torino. Perirono tutti.
I Giocatori: Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Dino Ballarin, Emile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti, Giulio Schubert.
I Dirigenti: Arnaldo Anisetta, Ippolito Civalleri.
Gli Allenatori: Egri Erbstein, Leslie Levesley
I Giornalisti: Renato Casalbore., Renato Tosatti, Luigi Cavallero.
A raccontare le storie dei singoli e del ciclo calcistico di quella squadra mi metterei a scrivere per troppo tempo.
Dico solo che forse sarà sempre difficile capire, per chi non ama il calcio, la passione che anima un tifoso. La sua innata sete di memoria storica, vissuta come un bene comune da condividere con i propri simili. Non stateci a giudicare, bisogna vivere le cose per capirle.
Ma io sempre mi commuoverò ad alzare lo sguardo verso la collina e a scorgere l’inconfondibile sagoma della Basilica di Superga. Perché so che lì sono rimasti i sogni dei miei ragazzi con la casacca granata.
Ma non fa niente capitan Valentino, dì ai tuoi compagni che per noi non siete morti, siete soltanto in trasferta…..
Me Grand Turin
(Ma 'n fiur l'aviu)
Forse era troppo meravigliosa questa squadra perché invecchiasse; forse il destino voleva arrestarla nel culmine della sua bellezza. ("Carlin”)
Oggi piove. La città è grigia. Questa Torino post-industriale che fa spallucce alla crisi, meticcia che non vuol essere cosmopolita, egoista che vuole vivere di passioni, corre distratta verso un fine settimana senza patemi.
La guardo dalle finestre di casa mia. Un po’ annoiato, un po’ infastidito da un dolore al polso che mi si è verificato a lavoro improvvisamente, forse a causa di un movimento errato durante una mobilizzazione.
Piove come 58 anni fa.
Come quel giorno la gente starà sacramentando perché è maggio e magari vorrebbe andare in giro con una giacchetta, un pantalone o una gonna più leggera, magari quella comprata nel negozio in centro un paio di finesettimana prima, ed invece il brutto tempo ti lascia basito e devi tirare fuori le mantelle, che credevi di lasciare tranquillamente nel comò per i prossimo sette o otto mesi.
E io guardo fuori, in alto. E dico: ciao ragazzi.
Saluto il mio vecchio, per sempre giovane, “Grande Torino”.
Capitemi io sono un “vetero Granata”. E il 4 maggio è sempre giorno di commozione.
Valentino e i suoi compagni di squadra stavano per vincere il loro quinto campionato nazionale.
La domenica prima avevano pareggiato 0 a 0 a Milano contro l’Inter, la loro unica concorrente diretta che non si era ancora arresa all’evidenza della loro supremazia, ma era più soltanto aritmetica a tenere in piedi le speranze dei nerazzurri.
I granata si potevano persino permettere una trasferta premio in Portogallo, a Lisbona, per giocare un’amichevole contro il Benfica, per festeggiare l'addio al calcio del capitano della squadra lusitana Ferreira, amico di capitan Valentino. Oltre che per giocare, la trasferta è ghiotta per i giocatori per fare turismo e acquisti di generi vari che magari qui in Italia non si trovano ancora sui banchi di mercati e negozi. L’Italia è un paese ancora in difficoltà post-belliche, e i calciatori, all’epoca, guadagnano quanto un piccolo impiegato. Ma sono famosi. Soprattutto quelli del Torino.
Costituivano i 10/11 della nazionale. Insieme ai grandissimi ciclisti Fausto Coppi e Gino Bartali, il Grande Torino aveva contribuito con le sue imprese a dare lustro e svago a una nazione che cercava di risollevarsi dopo i terribili anni di guerra e di occupazione tedesca.
Erano una squadra di calcio ammirata ed amata.
Alle ore 17:05 del 4 maggio 1949 divennero un mito.
Il Fiat G212, un aereo piccolo e veloce, con a bordo l'intera squadra del "Grande Torino" si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della basilica di Superga, appena fuori Torino. Perirono tutti.
I Giocatori: Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Dino Ballarin, Emile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti, Giulio Schubert.
I Dirigenti: Arnaldo Anisetta, Ippolito Civalleri.
Gli Allenatori: Egri Erbstein, Leslie Levesley
I Giornalisti: Renato Casalbore., Renato Tosatti, Luigi Cavallero.
A raccontare le storie dei singoli e del ciclo calcistico di quella squadra mi metterei a scrivere per troppo tempo.
Dico solo che forse sarà sempre difficile capire, per chi non ama il calcio, la passione che anima un tifoso. La sua innata sete di memoria storica, vissuta come un bene comune da condividere con i propri simili. Non stateci a giudicare, bisogna vivere le cose per capirle.
Ma io sempre mi commuoverò ad alzare lo sguardo verso la collina e a scorgere l’inconfondibile sagoma della Basilica di Superga. Perché so che lì sono rimasti i sogni dei miei ragazzi con la casacca granata.
Ma non fa niente capitan Valentino, dì ai tuoi compagni che per noi non siete morti, siete soltanto in trasferta…..
Me Grand Turin
(Ma 'n fiur l'aviu)
Russ cume 'l sang
fort cume 'l Barbera
veuj ricurdete adess, me grand Turin.
En cui ani 'd sagrin
unica e sula la tua blessa jera.
Vnisìu dal gnente, da guera e da fam,
carri bestiame, tessere, galera,
fratej mort en Russia e partigian,
famìe spiantià, sperduva ogni bandiera.
A jeru pover, livid, sbaruvà,
gnanca 'n sold 'n sla pel e per ruschi
at duvavi suriè, brighè, preghè,
fina a l'ultima gusa del to fià.
Fumè a vurià dì na cica 'n quat,
per divertise a duvìu rii 'd poc,
per mangè a mangiavu fina i gat,
geru gnun: i furb cume i fabioc.
Ma 'n fiur l'aviu e t'jeri ti, Turin,
taja 'n tl'asel jera la tua bravura,
giuventù nosta, che tuti i sagrin
purtavi via cunt tua facia dura.
Tua facia d'uveriè, me Valentin!,
me Castian, Riga, Loik e cul pistin
'd Gabett, ca fasia vni tuti fol
cunt vint dribbling e poi jera già gol.
Filadelfia! Ma chi sarà 'l vilan
a ciamelu 'n camp? Jera ne cuna
'd speranse, 'd vita, 'd rinasensa,
jera sugnè, criè, jera la luna,
jera la strà dla nostra chersensa.
T'las vinciù 'l Mund.
a vintani t'ses mort.
Me Turin grand
me Turin fort.
Giovanni Arpino
Mio Grande Torino
(Ma avevamo un fiore)
Rosso come il sangue
forte come il Barbera
voglio ricordarti adesso, mio grande Torino.
In quegli anni di affanni
unica e sola la tua bellezza era.
Venivamo dal niente, da guerra e da fame
Carri bestiame, tessere, galera,
fratelli morti in Russia e partigiani,
famiglie separate, perduta ogni bandiera
Eravamo poveri, lividi, spaventati,
neanche un soldo sulla pelle e per lavorare
e dovevi sorridere, brigare, pregare
fino all'ultima goccia del tuo fiato.
Fumare voleva dire una cicca in quattro,
per divertirsi dovevamo ridere di poco,
per mangiare mangiavamo perfino i gatti,
non eravamo nessuno: i furbi come gli sciocchi.
Ma avevamo un fiore ed eri tu, Torino,
tagliata nell'acciaio era la tua bravura,
gioventù nostra che tutti i dispiaceri
portavi via con la tua faccia dura.
La tua faccia d'operaio, mio Valentino!
mio Castigliano, Riga, Loik, e quella peste
di Gabetto, che faceva venire tutti matti
con venti dribbling ed era già gol.
Filadelfia! Ma chi sarà il villano
a chiamarla un campo? Era una culla
di speranze, di vita, di rinascita,
era sognare, gridare, era la luna,
era la strada della nostra crescita.
Hai vinto il Mondo,
a vent'anni sei morto.
Mio Torino grande
Mio Torino forte.
8 commenti:
quelli erano ancora giocatori veri e giocavano vero calcio. Adesso non so se ci si può ancora affezionare a delle squadre per metà fatte di stranieri, che cambiano i giocatori durante l'anno, che fanno parlare più per le polemiche che per il calcio...
una città come Torino si merita una grande Torino...
che la juve rimanga in B..
rob.
X Effimeramente: rivoglio anch'io le regole e il costume in voga fino agli anni '70......
x rob.: noi lo si spera ancora, e comunque la juve è ad un passo dalla serie A. Almeno ci rigiochiamo il derby, salvezza permettendo.....
oggi con l'Ascoli la vittoria è d'obbligo..
rob.
X rob.: ed infatti abbiamo vinto ma che sudata.... al mattino la sfilata per la città per commemorare la squadra ha portato fortuna!
da juventino son stato anche io a superga...io mi auguro che la juve scompaia davvero........è che porca miseria, mi hanno messo addosso quella maglia...cambiare squadra è una cosa impossibile...
and
www.wrong-.splinder.com
ma Patrizo Sala
e MOzzini che fine hanno fatto?
rob.
X and: capisco.... io sono un eretico nella mia famiglia ad esempio, tutti della juve e poi vengo io che invece m'infervoro per i granata... mah! sarà stato il germe della ribellione....
X Rob: Pat Sala fa l'opinionista su una tv regionale piemontese in trasmissioni sportive sul Toro, Mozzini non pervenuto....
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