Ausencias
Oggi ho visitato, qui a Torino, presso il museo diffuso della Resistenza della Deportazione e della Libertà, la mostra fotografica "Ausencias", che in spagnolo significa "assenze".
"Ausencias" è un progetto espositivo che, partendo dal materiale fotografico di alcuni album di famiglia, mostra quattordici casi attraverso i quali si dà un volto all'universo di coloro che non ci sono più: lavoratori, militanti di quartiere, studenti, operai, professionisti, intere famiglie, vittime del piano sistematico di repressione illegale instaurato dalla dittatura militare.
Il fotografo argentino Gustavo Germano (anch'esso fratello di un oppositore politico, sequestrato, torturato e ucciso nel 1976, senza che il suo corpo venga mai più ritrovato), trent'anni dopo, accompagna con la sua macchina fotografica i parenti e gli amici negli stessi luoghi dove furono scattate quelle foto, che lui ricompone mettendo in risalto l'assenza delle persone scomparse, in un dialogo costante tra il prima e l'adesso. I parenti delle vittime, posando davanti alla macchina fotografica, rivendicano lo spazio che avrebbero dovuto occupare le persone amate e in questo vuoto vediamo coloro che non ci sono più.
Tra il 1976 e il 1983, l'Argentina subì la dittatura più feroce della sua storia. Trentamila persone scomparvero in quegli anni, vittime di un progetto che aveva fatto dell'intimidazione, della tortura, della detenzione illegale e dell'assassinio le sue pratiche quotidiane. è un progetto espositivo che, partendo dal materiale fotografico di alcuni album di famiglia, mostra quattordici casi attraverso i quali si dà un volto all'universo di coloro che non ci sono più: lavoratori, militanti di quartiere, studenti, operai, professionisti, intere famiglie, vittime del piano sistematico di repressione illegale instaurato dalla dittatura militare.
L'emozione che ho provato nella visione delle foto, e nel video che mostra il viaggio di Gustavo Germano nei vari luoghi, perlopiù nella regione di Entre Rìos, dove incontra i protagonisti dei suoi scatti, mi ha suggerito un vuoto lacerante che provocava l'assenza inspiegabili di uomini, donne, bambini, che erano figli, fratelli, sorelle, padri, madri, amici, cugini di altrettanti esseri umani che vivono da allora nel trauma di un'identità nazionale segnata da un assurdo bagno di sangue perpetrato dai militari nazionalisti e fascisti che andarono al potere nella seconda metà degli anni settanta, anche attraverso l'assordante silenzio dell'alto clero locale e del Vaticano. Quella stessa Chiesa che invoca oggi il perdono verso i torturatori e gli assassini.
Ipocrisia con il crocefisso al collo.
Ma nella stessa mostra vi è anche il volto umano e caritatevole di quei sacerdoti che non voltarono il viso dall'altra parte, impersonati da padre Raùl Servin che si battè per la liberazione di Luisa Inès Rodriguez e i suoi figli, con lei immortalata in una foto in una chiesa. Nella foto manca Raul Maria Caire, desaparecido (scomparso) dal 2 novembre 1976.
In quella originale i tre erano ripresi durante il matrimonio di Luisa e Raul Maria, padre Servin officiava il rito.....