27 aprile 2007

Buone notizie



Diciamocelo oggi ad ascoltare i telegiornali viene la depressione.
Non che gli altri giorni siano più allegri, ma insomma oggi…. È proprio una giornata di merda!
Andiamo nell’ordine:
infilzata con un ombrello nella metro ragazza di 23 anni muore a Roma
giallo a Parma, ragazza trovata morta, forse uccisa;
a Bergamo muore schiacciato da una ruspa sotto gli occhi del figlio;
morto a Mosca il violoncellista e compositore Rostropovich;
negli scontri a Tallin per la rimozione di un monumento all’armata rossa morto una persona e 56 feriti;
due cinesi uccisi per strada a Milano in piena zona Via Paolo Sarpi;
a Gioia Tauro, devastata la sede di una cooperativa che coltiva terreni confiscati alle cosche della 'ndrangheta;
abbattuto un elicottero russo in Cecenia: 18 morti;
processo Sme: prosciolto Berlusconi, i giudici ritengono che non abbia commesso il fatto;
per non contare tutta l’attenzione mediatica per il processo alla Franzoni, con tutta la lunga fila di vojeur che si accalcano dentro fuori e intorno al palazzo di giustizia….. ma dai!!!!!
Mentre pure il divin Diego se la passa male là in Argentina, qui il figlio Jr e la madre lo denunciano per aver detto che lui non ha figli maschi.
E le buone notizie?
Tranquilli, tranquilli.. ci sono le buone notizie, e che si nascondono, o meglio, pardon, vengono nascoste, fanno poco audience…. Bisogna andare a cercarle, dove invece vengono esposte per bene, ma si sa chi cerca trova!
Ecco una piccola sfilza di Buone notizie (mi fa sentire tanto la Gabbanelli dirlo….):
- L'Assemblea legislativa locale di Città del Messico, la capitale del secondo più grande Paese cattolico, ha approvato il progetto di legge per la depenalizzazione dell'aborto entro le prime 12 settimane di gestazione. Contro il provvedimento, approvato con 46 voti a favore, 19 contrari ed una astensione, si era mobilitato anche il Vaticano. In festa le attiviste pro-aborto.
- Grazie al programma "Yo si puedo", voluto da presidente Evo Morales, nel municipio di Tolata non ci sono più analfabeti. I 710 benificiari di questo programma sono tutti quei cittadini che nella loro vita non hanno avuto la possibilità di accedere alla scuola. Contadini, muratori, pastori, soprattutto donne hanno così potuto uscire dall'analfabetismo che, in un paese molto povero come la Bolivia, poteva anche significare sfruttamento.
- Il prossimo maggio, in Colombia, entrerà in vigore il Testo unico della Legge sull’infanzia e l’adolescenza, che prevede pene molto severe per i pedofili. A tirare un sospiro di sollievo sarà, prima fra tutte, Cartagena de Indias, cittadini colombiana sulle rive dell'oceano Atlantico, meta prediletta per il viaggiatore in cerca di trasgressione: cocaina e sesso facili sono attrattive insuperabili, ma a questo si somma il coinvolgimento di oltre duemila bambini nel giro della prostituzione minorile. Un affare di milioni di pesos, che è arrivato a sfruttare maschi e femmine anche di 5-6 anni, e che è gestito da una rete criminale ben organizzata facente capo all’Autodifesa unita della Colombia (Auc), gruppo paramilitare guidato da Salvatore Mancuso, signore indiscusso del narcotraffico internazionale e ora agli arresti domiciliari in attesa di giudizio.
- Lo stesso tribunale che giudicò nel 1985 gli ex comandanti della giunta militare argentina, Jorge Rafael Videla e Emilio Eduardo Massera, condannandoli all'ergastolo, ha annullato l'indulto concesso nel 1990 da Menem. Finalmente, i responsabili della sparizione di oltre 30 mila persone per effetto del Plan Condor, la “cooperazione” a delinquere fra le dittature del Cono Sud messa in atto negli anni settanta e ottanta. Videla e Massera saranno costretti a passare il resto della loro vita dietro le sbarre.
Se vi sembra poco……….

P.s. diamo un benvenuto a Fiore, che è sbocciata la scorsa notte.
Con gli auguri che tu possa crescere e conoscere la bellezza e il colore dell'Amore

24 aprile 2007

Memorie sessantaduenni
(a piedi fermi)


Scrivere qualcosa sul 25 Aprile che sia sensato, non retorico, senza cadere nel revisionismo e che aiuti alla memoria collettiva non è poi semplice. Lo dico perché dopo 62 anni da quella data mi piacerebbe che la si consideri per quello che è. La fine ufficiale della guerra, l’inizio di un periodo di speranze, unità e rinascita nazionale che s’interruppe nel 1948 allorchè, De Gasperi, scaricata la sinistra e vinto delle elezioni in un clima tesissimo, diede inizio alla lunga stagione del potere della DC.
So che donne e uomini, giovani e maturi, borghesi e proletari, colti e non, rivoluzionari e conservatori, parteciparono alla Resistenza per sconfiggere il Nazifascismo e porre fine alla loro dominazione in Italia e alla sciagurata guerra che avevano dichiarato in preda a visioni di dominio planetario di stampo esoterico, rurale e nazionalpopolare (giuro che non sto parlando di Studio Aperto).
C’è stata una guerra civile. Dopo sessantadue anni non perdiamo ancora l’abitudine a dividerci in fazioni: destra e sinistra, cattolici e laici, orgogliosamente diversi e orgogliosamente conformi, alternativi e tamarri, Coppi e Bartali, settentrionali e terroni, per i diritti degl’italiani ed per i diritti degli extracomunitari, istituzionali e antagonisti, capelli lunghi e teste rasate, tu e io.
Eppure, cessate le scariche di mitra (comprese quelle fuori tempo massimo), andati fuori dalle scatole i Savoia, proclamata la Repubblica, riaperti i cinema e riallacciati gli acquedotti, un’altra cosa buona è stata fatta prima del ’48.
È la costituzione.
Un compendio di diritto all’avanguardia. Così nuovo che, quel testo redatto dai padri della moderna patria, pare non sia quasi mai stato sfogliato da nessuno in questi anni. E a dire la verità sembra proprio così. Eppure la costituzione rappresentava, negli ideali di chi aveva chiesto all’indomani della liberazione la sua Costituente, “l’altro passo”. Con l’insurrezione e la Liberazione un passo era stato fatto. Si trattava di farne un altro. Poi il cammino per l’uguaglianza sarebbe venuto da sé. Ed invece si è rimasti sostanzialmente a piedi fermi.
A fare strada in questo paese è stata la Mafia, la collusione fra politica e poteri forti, il bisogno di riscrivere la storia per mettere sullo stesso piano Partigiani e repubblichini, il disimpegno dalla cosa pubblica, voglia di apparire, nani e ballerine, programmi tv serali, venditori di ciarpame, surrogati dei sentimenti e tanto altro che piace a tanti.
Una penultima cosa (eh sì…). Esistono targhe, lapidi, monumenti, insegne di vie che ricordano persone cadute durante la Resistenza. Leggete i loro nomi. Poi andate sul sito
www.anpi.it e cercate sul link “donne e uomini della resistenza” la storia della persona a cui è intitolato l’epitaffio che avete letto. È un esercizio di memoria. Serve.
Un ultima cosa (quasi finito lo giuro). Un testo di una canzone. È dell’attore Marco Paolini e dei Mercanti di Liquore. Si chiama “sette fratelli” ed è dedicata ai fratelli Cervi.

C'erano sette fratelli
che andavano per il mondo:
sei erano sempre allegri,
il settimo sempre giocondo.

Sei andavano a piedi
perché non avevano fretta,
il settimo invece perché
non aveva la bicicletta.

La leggenda dirà
dell'ultima battaglia:
dove cantò la cicala
abbaia la mitraglia.
Una muta di cani
la notte ha circondata,
il fumo lecca i muri
della casa incendiata.
Ma quando li portarono
alla crudele morte,
non eri tu, fucile,
il più fermo, il più forte.
C'erano sette fratelli
che andavano per il mondo:
sei erano sempre allegri,
il settimo sempre giocondo.

Sei andavano a piedi
perché non avevano fretta,
il settimo invece perché
non aveva la bicicletta.
Nella nebbia dell'alba
si nascosero i cani,
e chiusero gli occhi
per non vedersi le mani.
Negli occhi dei sette Cervi
l'aurora si specchiò,
dagli occhi fucilati
il sole si levò.

Vecchio, tenero padre,
olmo dai sette rami,
nella vuota prigione
per nome ancora li chiami,


C'erano sette fratelli
che andavano per il mondo:
sei erano sempre allegri,
il settimo sempre giocondo.
Sei andavano a piedi
perché non avevano fretta,
il settimo invece perché
non aveva la bicicletta.
E a notte fra le sbarre
fin dove soffia il vento
intatte vedi splendere
sette stelle d'argento.
Sette stelle dell'Orsa
come sette sorelle.


I cani non potranno
fucilare le stelle.
Sette stelle dell'Orsa
come sette sorelle.
I cani non potranno
fucilare le stelle.


20 aprile 2007

La foto di mio padre
seconda e ultima parte
I miei fratelli lo capirono subito.
Aldo mi propose di venire a lavorare con lui, visto che di studiare non ne volevo sapere. Aveva preso a cuore il suo ruolo di capofamiglia e m’intimava di non procurare altri dispiaceri a nostra madre indicandomi la foto di mio padre. Sinceramente l’immagine di mio padre non poteva certo incutermi molto timore. Quell’unico ritratto presente in casa era un primo piano non troppo a fuoco tratto da una foto risalente al matrimonio di un cugino di mia madre. Lo mostrava un po’ sorpreso, un po’ scocciato, mentre era distolto, con ogni probabilità, dall’ingozzarsi a qualche buffet, com’era solito fare a certi appuntamenti. Però ci somigliavamo, il volto tondo e olivastro, i capelli corvini e ricci, foltissimi, il naso aquilino, la pelle grassa, la stessa fossetta posta in mezzo al mento come una scanalatura in una pingue valle ai piedi di una montagna a cono, certamente due meridionali come tanti a Torino.
Di tanto in tanto mi macchiavo di piccoli reati, furtarelli con qualche mio amico per pagarmi la dose, quando non potevo farlo cercavo di sparire un po’ dalla circolazione. Avevo scoperto che prostituendomi in un determinato giro di gente potevo tirare su un po’ di soldi che mi sarebbero bastati per un paio di settimane. Non male.
Il mio cliente abituale era un professore universitario che viveva con una madre anziana in un villino poco fuori la città. Andavo da lui preferibilmente la sera con il mio motorino che parcheggiavo alla cancellata, senza curarmi di legarcelo con una catena, la zona era tranquilla. Era un omino placido, pulito, timido e passivo, pagava molto bene. Come anche un gallerista del centro, ma molto più richiedente e che aveva anch’esso una passione per droghe molto pesanti. In ogni caso roba buona.
Poi un giorno la cosa si seppe a casa.
Si arrivò così ai ferri corti con mio fratello che ora mi minacciava di buttarmi fuori di casa.
Ma a sorpresa se n’andò prima mia sorella.
Rimase incinta del suo amante che non ne voleva sapere di sposarla e lasciare la sua famiglia. Anche mio fratello, che non voleva avere ulteriori impicci, la scaricò dicendogli che l’unica cosa da fare era abortire.
Concetta comunque frequentava anche il fratello di una sua collega che faceva il carabiniere, dopo poco gli fece credere che il figlio che portava in grembo era suo. Andarono via, a Carpi dove lui fu trasferito, si sposarono e mia sorella non ci chiamò.
Ma so di certo che mia madre ha una sua foto con il marito e il figlio che chiamò Antonio, come mio padre.
Una sera ero con un mio amico dietro casa, proprio nei giardinetti dove giocavo a pallone da bambino e mi rincorrevo nella polvere con gli altri figli del quartiere, ci stavamo facendo una dose e mi sentii male, svenni e non ebbi tempo quasi di capire cosa stesse succedendo. Era eroina tagliata con qualche polvere cementizia penso.
Mi risvegliai dopo un mese di coma all’ospedale.
Ma a quale prezzo!
Una trombosi celebrale mi aveva reso paralizzato completamente alla parte sinistra del corpo e anche la parte destra non era certo più autonoma.
Poco dopo il mio ritorno a casa mio fratello se n’andò, schifato dalla mia presenza, da come mia madre sembrava prendere quella vita piena d’atti dolorosi senza un lamento e dalla propria impotenza a farsi dare ascolto in quella casa.
I servizi sociali, dopo molto tempo, ci concessero la presenza al mattino di un assistente sanitario che veniva a casa a pulirmi, vestirmi, farmi la barba.
Edo appunto.
Ogni tanto Edo tardava, ma ancora peggio, telefonava perché non poteva venire. Una volta aveva la febbre, un’altra doveva andare da sua madre che stava male, un’altra volta era la banca che lo chiamava perché era in rosso. Capita no?
A pranzo, cena e alla sera per coricarmi vengono dei volontari della chiesa di quartiere dove abito, la chiesa dove mi hanno battezzato e dato la prima comunione. È gente gentile, che fa tutto questo per spirito cristiano, sicuramente un posto in Paradiso il Signore non gli e lo negherà, come dice mia madre.
Ma lei quasi non mi tocca durante il giorno. La mattina arriva nella mia camera, solleva la tapparella, mi chiama con voce arida, poi mi si avvicina e spicciativa mi tira un po’ su, di solito ha preparato una tazza di latte e caffè con del pane inzuppato e m’imbocca quella solita colazione; poi ritorna in cucina e di solito passa la giornata lontana dai miei occhi.
Parla con la foto di mio padre, gli dice che Aldo ha telefonato e sta bene, ha anche conosciuto una ragazza, ma che non passerà a farcela conoscere, che suo nipote Antonio, stando ai suoi calcoli, dovrebbe iniziare la scuola elementare quest’anno, che al mercato ci sono troppo extracomunitari a vendere le loro cianfrusaglie, che stanno costruendo dei nuovi palazzi nel quartiere che non sono più giallo marcio ma belli in muratura rossa con balconi e finestre grandi, che lo zio Ninuccio è andato in pensione, che l’inverno quest’anno stenta ad arrivare. Di me non dice nulla.
Ma non è importante. So che parlando con la foto di mio padre lei parla con me.
Forse le è più facile riconoscermi così. Ora che il mio fisico si sta trasformando ogni giorno di più per effetto dell’immobilità, delle terapie e di una più incalzante decadenza.
Una volta mi sentivo stretto in questa casa, ora mi sento soffocare nel mio corpo.

17 aprile 2007

La foto di mio padre
prima parte

Edo oggi mi pare in ritardo.
Sento mia madre che cincischia in cucina.
Chissà cosa starà facendo?
Me la immagino preparare già la verdura cotta per il pranzo, o spolverare i ripiani della credenza, quelli di legno scuro, dove da piccolo rubacchiavo le caramelle da una grossa coppa di ceramica bianca e blu, sicuramente si fermerà un attimo a parlare davanti alla foto di mio padre. Non penso che per lei sia molto cambiato parlagli così o come quando lui era in vita. Di solito mio padre era silenzioso e indifferente, sfuggevole. “Un uomo di Calabria ostinato”, ho sentito dire una volta da un parente in visita che ci chiedeva il voto per un’elezione. Sarà! Ma io avrei detto ottuso.
Era arrivato tanti anni fa in città dal suo paese, con un vestito, un paio di scarpe e una valigia semivuota. Di lavoro faceva il garzone in una pescheria. Portava spesso dei pesci a casa da mangiare. Casa mia puzzava come una pescheria.
Un parente gli fece conoscere un giorno mia madre, perché aveva da “ammogliarsi”. Dopo un paio di mesi dal loro matrimonio, mia madre rimase incinta di mio fratello maggiore Aldo, cui seguì mia sorella Concetta, poi toccò a me, dopo poco mia madre ebbe un nodulo alle ovaie e non poté avere più figli. La gente disse che era una disgrazia, mio padre forse non la pensava così.
Abbiamo sempre abitato qui, nel “Borgo Cina”, com’era chiamato questo spoglio rione ad uno sputo dalle fabbriche di Mirafiori, in questo stabile popolare, dal colore giallo marcio, con gli infissi di legno crepitante, insieme a tante famiglie come la nostra, e come loro forse anche noi abbiamo pagato l’affitto all’ATC un paio di volte l’anno.
In cinque era difficile stare in quel buco.
E allora ci fu una selezione naturale.
Mio padre ebbe la possibilità di arrotondare il suo stipendio accompagnando in giro Franco Procopio detto “Lu Purc”, un pugliese intrallazzato con piccoli traffici e che conosceva mio padre per aver fatto un anno e mezzo il militare insieme a Udine. Mio padre guidava bene la macchina. Una sera erano per un lavoro facile da un droghiere che doveva dei soldi a “Lu Purc”; come al solito mio padre doveva aspettare fuori, in macchina, per poi allontanarsi in fretta finita la pratica. Ma quella sera aveva deciso di entrare anche lui nel negozio con l’amico. Non so perché, forse era curioso di vedere una volta tanto come avvenivano certe operazioni o forse voleva approfittare della situazione per accaparrarsi un paio di bottiglie d’olio. Fatto sta, che mentre lui e il “Lu Purc” entrarono in negozio, il droghiere li riconobbe e non aspettò neanche che aprissero bocca, tirò fuori dal banco una pistola e sparò, un po’ così, a caso nella direzione di mio padre e del suo socio. Franco rimase ferito ad una spalla e cadde rovinosamente all’indietro frantumando una vetrina, mio padre ebbe una pallottola in un polmone e morì in ospedale sotto i ferri dei chirurghi. Il droghiere fu accusato di detenzione illegale d’armi, omicidio preterintenzionale e lesioni gravi. Ma se la cavò con una condanna minima e si dileguò per paure di vendette. Al posto della drogheria ora c’è un negozio di compravendita d’immobili.
Era l’inizio degli anni Ottanta, all’epoca io avevo quindici anni, mia sorella diciassette e mio fratello diciotto. Nei cinque anni successivi continuavamo a stare stretti in quella casa. Ma mio fratello diventò manovale in una cooperativa di facchinaggio e traslochi, mia sorella parrucchiera e amante di un uomo sposato, più vecchio di lei di dodici anni, e io iniziai a drogarmi.

13 aprile 2007

Quella moda senza tempo di tagliare nastri

No so se questa sia una mia fortuna o meno. Ma nella mia vita non ho mai studiato filosofia. Quindi ignoro un po’ bellamente le meditazioni di Platone come i fondamenti del pensiero di Popper.
So che i filosofi sono esistiti. Me lo ha detto la storia, intesa più come materia scolastica che come passione. So che alcuni di loro hanno lasciato segni così fondamentali nella civiltà da contraddistinguere intere epoche. Quindi i concetti d’illuminismo, romanticismo, conflitto, classicismo, ecc… non mi suonano del tutto estranei. Ed anche i loro protagonisti. Uno di questi è “Friedrich Wilhelm Nietzsche”, che in un blog in cui io ogni tanto scorribando, è chiamato più simpaticamente Freddy. A Pasquetta tra le foto che ho scattato c’era anche quella di una lapide all’angolo di Piazza Carlo Alberto che ricorda il soggiorno di Freddy a Torino nel 1888.



Il pensatore Tedesco (era nato a Locken, vicino a Lipsia, nel 1844) con già molte pubblicazioni alle spalle, si trasferì a Torino, città che apprezzò particolarmente, e dove scriverà L'Anticristo, Il crepuscolo degli idoli ed Ecce Homo (pubblicato postumo). E che ti combina di altro nella città dei gianduiotti? È datata 3 gennaio 1889 la prima crisi di follia in pubblico: mentre si trovava in piazza Carlo Alberto, vedendo il cavallo adibito al traino di una carrozza fustigato a sangue dal cocchiere, abbracciò l'animale e pianse; in seguito si buttò a terra urlando ed in preda a spasmi. Dalla crisi non si riprenderà più. Ricoverato prima in una clinica psichiatrica a Basilea, viene trasferito a Naumburg per essere invano curato dalla madre, prima, e dalla sorella Elisabeth Förster Nietzsche, poi. Trasferito nella casa di Weimar, dove la sorella ha fondato il Nietzsche-Archiv, vi muore il 25 agosto 1900.
So che il pensiero di Freddy è stato oggetto di diverse interpretazioni. E che tra le più noti esista quella elaborata dall’ideologia nazista, anche a causa delle false indicazioni naziste e razziali inserite dalla sorella Elisabeth, sposata con un antisemita, nel materiale inedito, dopo la morte del filosofo. La concezione nazista di superuomo è sì al di là del bene e del male ma che usa la violenza senza alcun valore etico contrariamente all'Oltreuomo di Nietzsche che crea dei valori nuovi. Soprattutto Nietzsche sosteneva che chiunque poteva tentare di diventare un "superuomo" e non solo pochi individui come sosteneva il nazismo. Un po’ come quello che adesso succede con le opere di Tolkien, quello del “Signore degli anelli”, che era contrarissimo al fascismo, anzi era una specie di anarchico individualista, magari un po’ moralista e borghese, tipo certe signore che vanno a messa alle sei del pomeriggio. Ma se vai ai raduni delle formazioni politiche della destra i suoi romanzi sono ben allineati sui banchetti, accanto alle fascette tricolori, ai busti dell’ex capetto di Predappio e ai cd con i canti del ventennio. Eh certa gente è sempre all’”avanguardia”……
Ma sta di fatto che la cosa che più mi colpisce è che la data di realizzazione della lapide che ho fotografato è dell’ottobre 1944.
Un momento un po’ inusuale per scoprire lapidi e instaurare cerimonie con tanto di tagli di nastro e affettamento della torta con gelatina di frutta. Insomma la guerra infuriava, tedeschi, brigate nere e partigiani si sparano ad ogni angolo di strada, convogli di treni partono di tanto in tanto per Mathausen, è vivo il riverbero degli scioperi di marzo e giugno nelle fabbriche torinesi e del nord Italia, i danni dei bombardamenti sono ancora tutti lì sotto gli occhi di tutti e solo dopo la fine del conflitto ripartirà la ricostruzione, si vieta la circolazione in bici e automobile per i civili, i generi alimentari sono sempre più razionati, infine si proibisce anche di tagliare gli alberi (?)….
Insomma non proprio il momento migliore per fare di queste cose. Ma che in un certo modo testimonia di quella capacità tutta torinese di adoperare i soldi pubblici. Ovvero: meglio usarli per far felice qualche padrone di turno (una volta i nazisti, in questi tempi le varie clientele politiche, tipo grosse catene commerciali, che s’insediano un po’ dove vogliono con i loro ipermercati… e i piani regolatori, cartine per canne?) che per fare opere per i cittadini (una volta erano in ballo la mera sopravvivenza, ora la qualità dello sviluppo civile, in alcuni quartieri non si vede neanche lo straccio di una biblioteca o di un consultorio medico….).
Certo non ho niente in contrario al buon Freddy, che ha pure dimostrato di essere piuttosto sensibile alla sofferenza e al cinismo, ed in tempi non sospetti…
Ma se mi devo chiedere da chi può aver imparato il nostro sindaco Chiamparino a scialacquare i dindi, ora vedo che la storia con i suoi corsi e ricorsi dà sempre le risposte a tutti i quesiti.

P.S. questo post mi è stato, in un certo senso, ispirato da una richiesta di Robibandito, alias Bassotuba

09 aprile 2007



Il divin Diego

Una pasquetta così non la passavo, penso, da almeno un quindici anni.
Essendo la mia metà del cielo di turno a lavoro, sono rimasto a casa tutta la mattinata impegnato nelle più eccitanti faccende domestiche, tipo buttare la spazzatura e mettere a posto le mutande stese. Nel pomeriggio, allora, mi sono avventurato con bici e macchina fotografica per le vie del centro storico della mia città subalpina.
Il poco traffico e la bella giornata hanno reso il giro piuttosto piacevole, qualche buono scatto c’è anche scappato.
Tipo questo:



Poi un meritato riposo in piazza Carlo Alberto. Steso su una delle panchine a livello aiuola, vedo passare umanità varia, tipo un gruppo di giovani turisti venezuelani (lo presumo dal fatto che indossavano alcuni capellini con la bandiera del paese di Caracas), una coppia anziana che gusta con moderazione piemontese un gelato probabilmente crema e gianduia, acquistato da Fiorio in via Po, poi giovani che fumano e cercano un bar per una birretta, il tipo accanto a me studia una dispensa piena zeppa di formule e algoritmi, ma ha l’aria di essere un fuoricorso memorabile.
Dopo un po’ riprendo il mio giro e percorsa tutta via Po scendo per i “Murazzi” così da arrivare a livello del fiume. Mentre zigzagheggio tra torbe di cittadini che sono lì per caso, butto l’occhio sul corso d’acqua del fiume più lungo d’Italia e mi pare così torbido che fra poco potrei camminarci sopra senza che nessuno gridi al miracolo.
Così per un’associazione d’idee del tutto personale mi viene in mente una notizia letta al televideo stamattina: “Maradona sta meglio ma crede di essere Dio”.
Ora, tutto si può pensare e dire di Diego Armando Maradona, da Lanùs, sobborgo di Buenos Ajres, ma stupirci se si crede Dio proprio no.
Il noto giornalista e scrittore Gianni Brera coniò per lui la definizione di “divino scorfano” dopo averlo visto sgraziato e dalla bassa statura, ma è mondialmente più noto come El Pibe de Oro (il bimbo d'oro). Il 5 luglio del 1984, Maradona, acquistato dal Napoli alla cifra record di record di tredici miliardi e mezzo di lire (il contratto fu firmato senza che il Napoli disponesse ancora dei soldi per acquistare il giocatore, che solo in un secondo momento vennero versati dal Banco di Napoli) venne presentato ufficialmente allo stadio San Paolo ed è accolto da settantamila persone: bastarono un palleggio ed un tiro verso la porta della curva B e l'entusiasmo si trasformò in tripudio, tipo del coro «Oh Mamma mamma mamma, Oh Mamma mamma mamma, sai perché mi batte il corazon, ho visto Maradona, ho visto Maradona, e Mammà innamorato son.».
L’adorazione per il giocatore argentino è testimoniata anche dall’ "Altarino di Maradona": una piccola edicola dedicata al famoso calciatore. Si trova in via San Biagio dei Librai di fronte al largo Corpo di Napoli, poco dopo la statua al dio Nilo. L'altarino contiene una foto di Maradona nonché un suo capello conservato in una teca. Ma nella patria natia si spinsero anche più in là. A Buenos Aires alcuni fan hanno fondato la "Chiesa di Maradona." Il quarantatreesimo compleanno nel 2003 rappresentò l'inizio dell'anno 43 D.D. - "Después de Diego" o Dopo Diego - per i suoi 200 membri. Successivamente i membri sono diventati decine di migliaia attraverso il sito ufficiale della chiesa.
Persino nel cinema si sprecano i riferimenti ad un Maradona in chiave mistica; nel film Il “Mistero di Bellavista” di L. De Crescenzo uno dei protagonisti dice infatti: “San Genna' non ti crucciare, tu lo sai, ti voglio bene / Ma 'na finta 'e Maradona scioglie 'o sangue dint' 'e vene”.
La favola di Maradona ha conosciuto picchi e cadute.
Ma nell’immaginario della mia generazione rimane il giocatore di calcio più funambolico e affascinante che mai avessimo veduto. Ogni volta che uno di noi nei campetti di periferia riusciva in un gol dopo una serpentina noi lo si apostrofava con un “e chi sei Maradona?”, perché la memoria ci andava senza indugio al secondo gol del Pibe de oro all’Inghilterra ai mondiali del 1986. Vent’anni fa.
Il piccolo e povero ragazzino argentino nipote di emigranti italo-dalmati, è divenuto realmente una divinità profana. Ha segnato un solco, in cui volontariamente o meno, si sono calati tutti i calciatori delle generazioni che seguirono la sua venuta. Dei personaggi pubblici sappiamo tutto, ma non come quello che sappiamo di un calciatore. Di un calciatore sappiamo anche quando ha il raffreddore e non si allena. Ce lo dicono i giornali specializzati di sport ma anche le pagine interne dei grandi quotidiani parlano di ciò. E non è solo una questione del fatto se giochi nella Juve o nell’Inter. Anche se giochi nel Gallipoli magari un articoletto nei quotidiani locali lo riesci a rubare. Certo parlare del fatto che nell’est del Repubblica democratica del Congo la popolazione continua a vivere nella paura poichè saccheggi, abusi sessuali e rapimenti sono quotidiani, nessuno lo fa..
Ma che centra? In Congo nessuno ha segnato 361 gol in 693 partite ufficiali come Maradona…..

05 aprile 2007

100 passi indietro.

La prima volta che mio padre mi portò al cinema, era il 1981 o 1982. Si trattava di una piccola sala proiezioni nel quartiere Lingotto, borgata Torinese dove mio padre era cresciuto. Il cinemino l’avevano riaperta per proiettare film per i più piccoli, sia recenti sia di molti anni prima, infatti quel pomeriggio andammo a vedere un cartone animato, il noto “Red e Toby nemiciamici”. Per chi lo ha visto sa di che pellicola parlo. Per chi non lo ha visto è segno di aver avuto una infanzia monca, se ne faccia una ragione. Ricordo chiaramente l’entrata anonima del cinemino da una porta di ferro, la sala buia a cui si accedeva alzando un pesante sipario, le file di sedili di legno, dure e scomode. Assolutamente non a norma direi tra l’altro. Negli stessi anni la tragedia dello Cinema Statuto, del 13 febbraio 1983, in cui perirono 64 persone, portò (come sempre succede quando non ci arriva il buon senso) al divieto di fumare e all’uso di materiale ignifugo per la costruzione nei locali di proiezione. Comunque passarono molti altri anni prima che io e mio padre andassimo a vedere film al cinema. Anzi un’abitudine che riscoprimmo solo negli ultimi anni. Per lo più al pomeriggio, visto che mio padre non è solito uscire di casa dopo le 20.00.
Tra i film che vedemmo insieme, c’è né sicuramente uno che si può considerare una delle massime opere su pellicola, per il suo alto valore civico ed artistico. Parlo de “I 100 passi” di Marco Tullio Giordana. La storia narra la vita e il sacrificio di Peppino Impastato, giovane siciliano che si è dedicato alla lotta contro la mafia, per mano della quale è stato assassinato nel maggio 1978.


Giuseppe Impastato nacque a Cinisi, in provincia di Palermo, il
5 gennaio 1948, da una famiglia mafiosa (il padre Luigi era stato inviato al confino durante il periodo fascista, lo zio e altri parenti erano mafiosi e il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella, ucciso con una Giulietta al tritolo nel 1963). Ancora ragazzo rompe con il padre, che lo caccia via di casa, e avvia un'attività politico-culturale antimafiosa. Nel 1965 fonda il giornalino “L'Idea socialista” e aderisce al PSIUP. Dal 1968 in poi partecipa, con ruolo dirigente, alle attività dei gruppi di “Nuova Sinistra”. Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell'aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati. Nel 1975 costituisce il gruppo Musica e cultura, che svolge attività culturali (cineforum, musica, teatro, dibattiti, ecc.); nel 1976 fonda “Radio Aut”, radio libera autofinanziata, con cui denuncia i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, e in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti, che avevano un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell'aeroporto. Il programma più seguito era Onda pazza, trasmissione satirica con cui sbeffeggiava mafiosi e politici. Nel 1978 si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali. Viene assassinato nella notte tra l'8 e il 9 maggio del 1978, nel corso della campagna elettorale, con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Gli elettori di Cinisi votano il suo nome, riuscendo ad eleggerlo al Consiglio comunale. Stampa, forze dell'ordine e magistratura parlano di atto terroristico in cui l'attentatore sarebbe rimasto vittima e, dopo la scoperta di una lettera scritta molti mesi prima, del suicidio. Grazie all'attività del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta Impastato, che rompono pubblicamente con la parentela mafiosa, dei compagni di militanza e del “Centro siciliano di documentazione” di Palermo, nato nel 1977 e che nel 1980 si sarebbe intitolato proprio a Giuseppe Impastato, viene individuata la matrice mafiosa del delitto e sulla base della documentazione raccolta e delle denunce presentate viene riaperta l'inchiesta giudiziaria. Il 9 maggio del 1979, il Centro siciliano di documentazione organizza, con Democrazia Proletaria, la prima manifestazione nazionale contro la mafia della storia d'Italia, a cui parteciparono 2000 persone provenienti da tutto il paese. Inizia da allora un lunghissimo iter giudiziario, reso tortuoso anche da depistaggi da parte di rappresentanti delle istituzioni, che va nel senso della ricerca della verità. Il 5 marzo 2001 la Corte d'assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a 30 anni di reclusione. L'11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all'ergastolo.
Il film di Giordana ricevette diversi riconoscimenti e nonostante la trama del film sia romanzata, il fratello di Giuseppe Impastato, Giovanni, ha dichiarato che circa l'ottanta per cento del film corrisponde a fatti realmente accaduti. Un film emozionante. Davvero io e mio padre uscimmo dal cinema col groppo in gola e gli occhi lucidi. Anche con la rabbia nello stomaco per l’arroganza del potere colluso con la mafia, che Impastato combatteva in prima fila, a volto scoperto, disarmato, anzi “armato” solo delle sue idee e della sua coscienza.
Una rabbia che ho sentito anche oggi nell’apprendere che l’albero in memoria di Peppino Impastato, piantato in un’aiuola comunale di Termini Imprese, nel palermitano, è stato sradicato e appoggiato su un muro dove campeggia la scritta «Viva la mafia». La polizia indaga. Magari proprio come vent’otto anni fa. Così si scoprirà che ad abbattere l’albero è stato proprio lui. Peppino Impastato. Disgraziato idealista che invece di chinare la testa ad destino infame l’ha tenuta sù.
L’infamità è una macchia dura da lavare. Che nel nostro paese ha un nome ben chiaro, un nome che fa schifo, e si chiama Mafia. Chi non se ne lava è immondo. Per sempre.
Una comunità che non allontana da sé questo cancro è destinata a rimanere svantaggiata nel cammino di civiltà e a percorrere un cammino all’indietro. Indietro di 100 passi.

02 aprile 2007

Pensiero
Vedi io ho questa immagine scolpita nella mia fantasia di una stanza da letto bianca arredata con pochi e semplici mobili di legno chiaro, una stanza da letto di una casa sul mare, in una notte d’estate, con una finestra enorme aperta da cui entrano odori mediterranei di rosmarino e origano, inframmezzati da folate di effluvio di una vicina pineta, ed è un vento ristoratore a far circolare queste fragranze nella stanza, divertendosi a mischiarle a suo piacimento, per stuzzicare olfatti poco avvezzi a quelle esperienze. E poi, cosa più importante, un letto a due piazze, di un leggero ferro battuto scuro, con candide lenzuola, su cui siamo stesi io e te, ci teniamo per mano e tra di noi, come fossimo una cornice, un bambino, che non ci assomiglia, ma è nostro figlio, pur non essendo nato da noi. Siamo tutti e tre addormentati, ma è stato il bambino a farlo per primo, abbiamo aspettato che il suo respiro si regolarizzasse, che seguisse lo stesso ritmo cadenzato che da lontano le onde della vicina spiaggia suggerivano. Ci siamo cullati col suo respiro e ci siamo poi assopiti anche noi due, con un intima felicità comune che ci legava. E vedo anche i nostri corpi lucidi ed ambrati da una giornata di sole, i nostri muscoli affinati dall’esercizio fisico di una giornata passata in spiaggia a giocare tra la sabbia e le acquee.
Mi viene da dirti… tu non hai mai desiderato qualcosa di simile?