
Mi chiamo Patrizia. Ho 46 anni. Sono completamente paralizzata. Un edema celebrare mi ha ridotto così. Praticamente sono un peso morto. Una mattina di qualche mese fa sono arrivati i Carabinieri a casa mia. Avevano dei fogli tra le mani. Era un’ordinanza di misura cautelare in carcere. I Carabinieri, quando si sono resi conto di come stavo, sono rimasti perplessi. All’inizio non volevano neanche più arrestarmi. Hanno anche telefonato al magistrato, ma non c’è stato nulla da fare. Io paralizzata dovevo andare in carcere. Così sono stata presa di peso e caricata su un sacco, per evitare che cadessi per le scale. Arrivata nel carcere di Reggio Calabria, siccome l’infermeria non c’è, sono stata trasportata fino a quella che sarebbe stata la mia cella. Una piccola stanza con una branda. Prima di sistemarmi su quella branda c’hanno messo un telo di plastica. Una precauzione per evitare che io, non potendo muovermi per andare in bagno, sporcassi il materasso. Dopo avermi sdraiato, la porta della cella si è chiusa e sono rimasta sola. Sola in quella cella, costretta immobile su quella branda. Non c’era nessuno che mi aiutasse per fare i bisogni o semplicemente per cambiare posizione. Nessuno che mi aiutasse per bere un bicchiere d’acqua. Nessuno. Anche le medicine, che io devo assumere con regolarità, mi venivano date a casaccio. O addirittura, come spesso è capitato, non mi venivano date affatto. La conseguenza è stata che più volte ho perso i sensi. Più volte ho avuto crisi convulsive. Mancamenti da cui mi svegliavo più confusa, più sporca e più sola di prima. Trascorrevo così le giornate da detenuta paralizzata. Non di rado, vedendomi ridotta in quello stato, ho sentito che non avevo più voglia di vivere. Più di una volta mi sono sorpresa a pensare come potevo riuscire a farla finita. D’altra parte nella mia condizione non è cosa facile!La notte era il momento peggiore. Nessuno ascoltava le mie richieste di aiuto. Nessuno mai è entrato nella mia cella per chiedermi come stavo e se avevo bisogno di qualcosa. Non mi vergogno di raccontare che una sera ero così disperata che mi misi a piangere. Avevo fatto i bisogni ed erano ore e ore che aspettavo qualcuno che mi aiutasse per pulirmi. Pensavo di impazzire. Solo il giorno successivo una detenuta si è presa cura di me. Poi una mattina è entrato nella mia cella il magistrato per interrogarmi. Mi ha guardato stupito per come ero ridotta. Come se non sapesse che ero paralizzata. L’aria era irrespirabile per via del fatto che non venivo cambiata ne lavata da giorni, tanto che un agente di custodia aprì la finestra della cella. Durò poco l’interrogatorio. Quel magistrato mi chiese come facevo a dimostrare che ero paralizzata. Gli riposi che, se non gli bastava vedermi in quello stato, poteva acquisire i documenti medici. Dopo andò via senza dirmi nulla. Ho passato un’altra settimana dentro quella cella. Un’altra settimana di inferno. Andava sempre peggio. Iniziavo ad avere le pieghe da decubito. Il dolore era atroce e forte la preoccupazione di avere un’infezione. La mia salute, già precaria, si indeboliva giorno dopo giorno. Ed anche il mio equilibrio psicologico mi stava abbandonando.Un pomeriggio sono arrivati degli infermieri. Avevano un sacco tra le mani. Quel sacco che mi aveva portato in carcere, ora mi stava riportando a casa. Ora sono agli arresti domiciliari, e attendo fiduciosa di essere giudicata. Non voglio pietà. Né per il mio stato né per quello che ho passato. Ma ho deciso di raccontare la mia storia perché credo sia giusto far conoscere la tortura che ho subito. Perché di tortura si è tratto.
Ogni anno qualche rappresentante delle istituzioni si reca, con tanto di scolaresche al seguito, ad Auschwitz per commemorare le vittime del nazismo. A pochi chilometri da Roma esistono almeno due lager denominati "Ospedali Psichiatrici Giudiziari". Conosciuti un tempo come manicomi criminali, custodivano carcerati che, in preda a turbe di ordine psichiatrico, avevano commesso efferati delitti. La "mission" di queste strutture doveva essere la cura delle predette turbe, attraverso un percorso riabilitativo che contemplava l’utilizzo di farmaci e l’impiego di staff multidisciplinari. Di fatto i "pazienti" venivano sottoposti ad "elettroshock" e "riposavano" sui letti di contenzione, imbottiti di farmaci. Con l’introduzione della legge Basaglia, vengono aboliti anche i manicomi criminali, ma soltanto formalmente. Oggi si chiamano "Ospedali psichiatrici giudiziari" e custodiscono soggetti condannati per omicidio ma non ristretti nelle carceri ordinarie perché "non in grado di intendere e di volere". Un cambiamento di facciata, perché a Montelupo Fiorentino ed Aversa, la condizione in cui vivono questi poveri cristi è allucinante. In sette/otto occupano celle piccolissime, in mezzo ai loro escrementi, senza acqua calda. L’unica cura praticata consiste nella somministrazione di farmaci e nell’utilizzo nel letto di contenzione. Se qualche ricoverato si permette di lamentarsi, riceve torture di ordine psicologico e rischia di trascorrere la vita intera recluso in questi lager.
Ogni anno qualche rappresentante delle istituzioni si reca, con tanto di scolaresche al seguito, ad Auschwitz per commemorare le vittime del nazismo. A pochi chilometri da Roma esistono almeno due lager denominati "Ospedali Psichiatrici Giudiziari". Conosciuti un tempo come manicomi criminali, custodivano carcerati che, in preda a turbe di ordine psichiatrico, avevano commesso efferati delitti. La "mission" di queste strutture doveva essere la cura delle predette turbe, attraverso un percorso riabilitativo che contemplava l’utilizzo di farmaci e l’impiego di staff multidisciplinari. Di fatto i "pazienti" venivano sottoposti ad "elettroshock" e "riposavano" sui letti di contenzione, imbottiti di farmaci. Con l’introduzione della legge Basaglia, vengono aboliti anche i manicomi criminali, ma soltanto formalmente. Oggi si chiamano "Ospedali psichiatrici giudiziari" e custodiscono soggetti condannati per omicidio ma non ristretti nelle carceri ordinarie perché "non in grado di intendere e di volere". Un cambiamento di facciata, perché a Montelupo Fiorentino ed Aversa, la condizione in cui vivono questi poveri cristi è allucinante. In sette/otto occupano celle piccolissime, in mezzo ai loro escrementi, senza acqua calda. L’unica cura praticata consiste nella somministrazione di farmaci e nell’utilizzo nel letto di contenzione. Se qualche ricoverato si permette di lamentarsi, riceve torture di ordine psicologico e rischia di trascorrere la vita intera recluso in questi lager.
Cari parlamentari, alzatevi dalle vostre poltrone, mettete fine a questo scempio ed evitate sprechi di pubblico denaro recandovi in Germania.