06 novembre 2006

Giovani, carini, precari ed anche un poco scazzati.

Leggo dal sito de “La Repubblica” i risultati del sesto rapporto dell'istituto "Iard" (Istituto sulla condizione giovanile in Italia) che ha cercato di analizzare il cambiamento dei giovani italiani, realizzando una comparazione con le altre indagini svolte in questi anni, a cominciare dal 1983.
Da questa analisi emerge un quadro che convalida dati risaputi, ma anche pone alcune novità sul quadro della discussione sull’attualità della condizione giovanile, infatti sono confermate alcune tendenza negative, come la percentuale dei giovani che vivono stabilmente fuori dal nucleo familiare di origine, se nel 1983 infatti era uscito di casa il 17% dei 15-17enni, oggi soltanto il 3%, per i 18-20enni si è passati dal 39% al 25%, solo dopo i 25 anni si registrano le prime consistenti uscite di casa, spesso in concomitanza con il matrimonio o la convivenza, tuttavia: quasi il 70% dei 25-29enni e oltre un terzo tra i 30-34enni (36%) vive ancora con i genitori. Il perché risiede in alcuni fenomeni come percorsi di studio più lunghi che in passato, con un ingresso più tardivo nel mondo del lavoro, si pensi che tra i 25-29enni c'è ancora un 35% di giovani che non lavora e tra i 30-34enni è il 23%, si segnala anche l’effetto della precarizzazione del mercato del lavoro, che ha però segnato un'inversione di tendenza rispetto ai dati del 1996, con una maggior partecipazione giovanile al mondo del lavoro e il difficile accesso al mercato del credito e della casa.
In considerazione di ciò non stupisce che i dati che riguardano la percezione del futuro segnalino che la visione dell’avvenire è quella di un vasto campo di possibilità, sempre aperto, in cui le scelte di vita più importanti non sono "per sempre" (dal 49% del 1996 al 54% del 2004).
La considerazione dei valori della vita rimane comunque classica, tant’è che “la salute”, ad esempio, raccoglie il consenso della quasi totalità del campione (92%), seguita a pochi punti percentuali dalla famiglia (87%) e dalla pace (80%, a pari merito con il valore della “libertà”). E ancora: l'amore (76%) e l'amicizia (74%). Mentre sorprende l'importanza attribuita al valore della solidarietà: negli ultimi otto anni passa dal 59% dei consensi al 42%. "Le cose importanti per i giovani - spiega il presidente di 'Iard' Antonio de Lillo - sono sempre più quelle legate alla sfera della socialità ristretta, a scapito dell'impegno collettivo". Infatti anche l’altro lato dell’impegno collettivo, ovvero la politica, segna il passo con appena il 4% che dichiara di fare partecipazione attiva a questo materia; mentre cresce d'altro canto, dopo un'inversione di tendenza registrata nel 1996, l'atteggiamento di delega (il 35% pensa che si debba "lasciare la politica a chi ha la competenza per occuparsene", contro il 26% del 1996).
Dati contrastanti sulla fiducia, dagli anni 90 ad oggi, nei confronti di molte istituzioni: gli insegnanti, la polizia, i militari di carriera, le banche e gli uomini politici, tutti comunque in ribasso rispetto agli anni 80. Incuriosisce, ed anche sorprende, che si registri un crollo della fiducia da parte dei giovani nei confronti della televisione: si passa dal 47% di coloro che si fidavano della televisione privata nel 1996, al 33% del 2004; e per quella pubblica dal 53% dei consensi si passa al 38%. La metà del campione, infine, si fidava dei giornali nel '96: percentuale lievemente in discesa nel 2004 (meno 6%).
In conclusione. Da questa relazione direi che finalmente si scacciano alcuni luoghi comuni come quello che i giovani rimangono a casa dei genitori perché mammoni ed incapaci di stirarsi una camicia ed una gonna o cucinarsi una pasta (cose che il sottoscritto è capace a fare da quando aveva 14 anni, e proprio perché me le ha insegnate mia madre), ma perché l’accesso al lavoro, condizionato da contratti flessibili, trasforma la vita delle persone in “esistenze a progetto” in cui sono precluse l’accesso ad alcuni bisogni come l’indipendenza, in poco parole, diminuisce la stabilità di un reddito come diminuisce la possibilità di permettersi un mutuo od un affitto (quelle sì che sono un dato economico in perenne crescita), non dovrebbe quindi stupirci che dagli umori dei giovani traspare un sottile ricorso all’egoismo, che penso indotto dalle condizioni ambientali, forse come meccanismo di difesa. Viene da chiedersi se sia attuale o meno quella dichiarazione di Norberto Bobbio, che molti anni fa mi aveva molto colpito, e che diceva: “I giovani che valgono veramente fanno volontariato, gli altri politica”, una bella provocazione da parte di uno dei padri della nostra repubblica. Comunque penso che la classe sociale di appartenenza influisca ancora molto sulla percezione del proprio presente e futuro. Credo, per averlo visto in presa diretta, che un un ragazzo/a che proviene da buona famiglia si preoccupi comunque meno di un suo coetaneo che arriva dalle case popolari di periferia se si ritrova in mano un contratto di tre mesi in una ditta, poiché può fare ricorso a sicurezze familiari che gli fanno da paracadute in caso di periodi in cui l’occupazione non c’è…..
E comunque, se Emilio Fede fa il direttore di telegiornale, Mastella il ministro e Materazzi vince un mondiale di calcio, beh…. Sembrerebbe bastare tirarsi su le maniche, in qualche modo, anche noi per farcela! O è una faccenda di calci nel culo?

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Quando leggo un post come il tuo, caro Maurone, mi rendo conto che ho fatto bene a fuggire dall'italia...

Maurone ha detto...

Ma per timore d'incontare uno come me, o per delusione dalla realtà sociale in generale? Sono aperto alle critiche, aiutano a crescere....

Anonimo ha detto...

Farcela non è difficile, diventa complicato CONTINUARE a farcela, trasformare le buone intenzioni in azioni palpabili, strappare le pagine dei calendari, aprire il frigo e non avvertire il freddo del vuoto, o il vuoto del freddo in una casa non riscaldata, la mia esperienza è di quelle che si commentano da sole, in fondo, è la solita storia, normalissima solita storia di una madre che scappa dal suo paese , porta nel marsupio un bimbo che non ne ha voglia di cambiare aria, poi i mille lavori, la strada, l'essere poveri, il continuare ad esserlo, il barcamenarsi, i compromessi con la vita,le delusioni a scuola, quando un giorno di bigiata mi serviva per portare a casa piu' soldi di quanti mia madre non ne guadagnasse in una settimana.....penso sia difficle oggi piu' di ieri, e domani sara' sempre piu' difficile dell'altro ieri, non colpevolizzo chi non trova il coraggio per uscire di casa, ammesso che contribuisca ai doveri anche economici, e non si nasconda dentro infiniti anni all'universita' alla ricerca di quello che sanno di non poter trovare.

Anonimo ha detto...

ps il discorso dell'universita' ?? ci ho ripensato forse ho scritto cosi' perche' non sono mai riuscito a permettermela..si chiama invidia??' si forse si..a preto amico.... gio

Goccia ha detto...

è quel "scazzati" che non piace,quelli di buona famiglia si adagiano sugli spalle dei genitori aspettando calci in culo altri si convincono di non poter fare nulla di buono perchè la societa' non offre quello che deve.. e secondo me quei programmi che etichettano come idioti(uomini e donne, buona domenica e quant'altro) non sono altro che una finestra che affaccia sullo spaccato della nostra societa', sta ad ogniuno di noi tirarsi indietro e distinguersi.nel modo migliore si intende..

Anonimo ha detto...

Direi di essere fuggita a causa/merito di un'occasione di lavoro qui...
Ma ho fatto bene proprio in base a quello che vedo della realtà sociale...

Maurone ha detto...

Per Giò: leggo una fierezza ed una dignità importante nelle tue parole. Penso che non ci sia niente da invidiare a chi frequenta e finisce un percorso universitario se si è capace di creare qualcosa di originale ed intimo nella propria vita.
Per Felicity: mi chiedo se le tue parole saranno ancora attuali fra qualche tempo, tutto si sta livellando, e poi?
Per Ggioia: a dire la verità anch'io desidero altri scenari, ma mi accontento del mare. Il mare è la mia meta. Forse perchè ci abito lontano per almeno dodici mesi l'anno.... è quella la dimensione a cui tendo.

Anonimo ha detto...

Io una laurea ce l'ho e lavoro in calla center, quando lavoro. Ho già fatto un po' di tutto, ma nessun lavoro "come si deve" che poi vuol dire un lavoro che ti permentte di pagare un affitto. Quindi vivo ancora con i miei, che almeno c'è il giardino e l'aria è buona. Vorrei andarmene, avrei tanto bisogno di andarmene, ma potrei solo permettermi uno scatolone sotto un ponte. E non credo che la mia situazione migliorerà, perchè in Italia è stato fatto tutto il possibile per eliminare ogni possibilità di lavoro sicuro. E per sicuro non intendo stabile, fisso, per la vita, manca la minima certezza di poter trovare un lavoro qualunque

Anonimo ha detto...

E' da anni che cerco di andare a vivere fuori casa, ma anche senza pensare di fare un mutuo per una casa, che con i lavori a tempo determinato che ho sempre fatto è una cosa impensabile.
Affitti altissimi, mini appartamenti che si rivelano box doccia sottoterra con una mini finestrella in alto..