31 gennaio 2007

La memoria di un giorno
parte seconda
Mia madre si ritirò in camera da letto, da dove la sentii affaccendarsi con le porte dell’armadio. Io mi sedetti su una sedia del soggiorno. Mi sbottonai e mi liberai del cappotto, spiegai la sciarpa di satin che mia moglie mi aveva regalato un paio di compleanni prima, posai tutto sul tavolino accanto alla poltrona dove prima riposava mia madre.
Era dal pomeriggio che avvertivo addosso una certa inquietudine; forse era dovuto al fatto che la sera avrei assistito alla recita scolastica di mia figlia Marta. Aveva tredici anni, ma già da allora ci dava prova di tanta curiosità che la permaneva e che sembrava guidarla come una piccola lucertola, ci riempiva di domande e ascoltava le nostre risposte con una inclinazione leggermente severa nello sguardo, quasi come se volesse metterci alla prova, come se in realtà era ben a conoscenza se eravamo in grado o meno di darle una risposta adeguata.
Ed era anche intraprendente e propositiva. Era stata lei a proporre alla sua classe di preparare una recita sulla liberazione di Auschwitz. Un pomeriggio tornò a casa e disse a mia moglie, Lucia, che aveva suggerito questa cosa durante una lezione d’Italiano e la sua professoressa ne era rimasta entusiasta, come i suoi compagni, e che ora avrebbero scelto un testo adatto, poi avrebbero coinvolto anche l’insegnante di musica e quella di Arte, avrebbero allestito degli essenziali fondali, e che verso gennaio sarebbero stati pronti a esibirsi. Ovviamente aveva pensato che fosse opportuno che anche sua nonna Marta Jenner sarebbe dovuta essere presente. Ma feci in modo che l’invito che mia figlia volesse fare a mia madre fosse tenuto, per così dire, congelato per qualche tempo. Mio padre ci aveva lasciato da poco e vedevo mia madre comportarsi in maniera strana, quotidianamente era come assorta, come se avesse iniziato un dialogo mentale con qualche presenza non visibile. A volte mi preoccupavo perché ci metteva molto a rispondere al telefono se la chiamavo, altre volte le vicine mi fermavano per dirmi che le tapparelle di casa rimanevano chiuse tutte il giorno e non udivano né passi, né altri suoni o rumori provenire dall’alloggio, nemmeno della tv che mia madre ascoltava di norma ad alto volume perché non sentiva bene da un orecchio.
Poi, un paio di settimane fa, andammo tutti a trovarla di domenica. Marta bambina iniziò a ghermire la Marta nonna, le accarezzava le mani, le allargava il caftano spiegazzato, cercava di scoprirsi negli occhi della nonna, io e Lucia cercavamo blandamente e fintamente di riprenderla, mentre l'altro mio figlio Adriano si rimpinzava di biscotti al cioccolato che rubava dalla scatola di latta che mia madre teneva al centro del tavolo in soggiorno, alla fine Marta piccola le disse la cosa della recita, mia madre ebbe un moto d’interdizione, poi annuì e disse semplicemente:
- Verrò.
Mia madre aveva avuto sempre un modo rapido e sbrigativo per liquidare quel passaggio della sua vita. L’internamento nel lager. In fondo era una bambina di cinque-sei anni al momento dei fatti. Non lo nascose, e comunque anche se lo avesse fatto, non sarebbe cambiato molto per me e i miei fratelli, lei non ci diceva e noi non chiedevamo, anche perché nostro padre ci reguardiva nel farlo. Ci diceva:
- Lasciatela tranquilla! Ha sofferto molto… la fareste stare male. Volete far stare male la mamma che vi ama tanto?
Certo che non volevamo. Almeno fino a quando siamo stati bambini.
Io ero il fratello maggiore, mia sorella Eliana era nata dopo due anni da, mentre Davide era il più piccolo.
Eravamo una famiglia piuttosto regolare, padre lavoratore, madre casalinga, figli studenti, la settimana passata in casa tra pranzi, cene, libri, compiti, discussioni di politica tra i miei genitori in periodo elettorale, lavatrici che girano, ferri da stiro che sbuffano, turni per andare in bagno al mattino, spese al mercato, vestiti che io ereditavo da mio cugino Gianluca e che dopo un tre anni passavano a mio fratello, sabati pomeriggi passati a passeggiare in centro in via Garibaldi o Via Roma, domeniche mattine a trovare in alternanza mia nonna Miriam Levi o i nonni Quaglino, le vacanze passate in Liguria ad Albenga, due settimane in pensione; frequentavamo poco la chiesa, visto che mia madre era ebrea e comunque mio padre aveva sentimenti tiepidi verso la religione, ma noi bimbi eravamo comunque battezzati,arrivando a fare anche la prima comunione e la cresima.
Poi crescemmo, ed iniziarono quelle che mia madre chiamò “le sciagurate beatitudini dei miei figli”.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

curioso..intrigante...

Anonimo ha detto...

Ma questa è una cosa che hai scritto tu?

Maurone ha detto...

X Anonimo: e chissà come finirà?
X Banda bassotti: ma come mai sei tornata al vecchio nick? Indagherò.... comunque è tutta farina del mio sacco...

Anonimo ha detto...

Cavoli! non me n'ero accorta!!

Anonimo ha detto...

L'hai scritto tu?! :o
E' scritto molto bene..
A quando le prossime parti?

Vale ha detto...

Bello...

Anonimo ha detto...

Sembra il copione di un film Maurone mio.
Non è una storia vera?
Bacio dolceamaro
Jean