31 gennaio 2007

La memoria di un giorno
parte seconda
Mia madre si ritirò in camera da letto, da dove la sentii affaccendarsi con le porte dell’armadio. Io mi sedetti su una sedia del soggiorno. Mi sbottonai e mi liberai del cappotto, spiegai la sciarpa di satin che mia moglie mi aveva regalato un paio di compleanni prima, posai tutto sul tavolino accanto alla poltrona dove prima riposava mia madre.
Era dal pomeriggio che avvertivo addosso una certa inquietudine; forse era dovuto al fatto che la sera avrei assistito alla recita scolastica di mia figlia Marta. Aveva tredici anni, ma già da allora ci dava prova di tanta curiosità che la permaneva e che sembrava guidarla come una piccola lucertola, ci riempiva di domande e ascoltava le nostre risposte con una inclinazione leggermente severa nello sguardo, quasi come se volesse metterci alla prova, come se in realtà era ben a conoscenza se eravamo in grado o meno di darle una risposta adeguata.
Ed era anche intraprendente e propositiva. Era stata lei a proporre alla sua classe di preparare una recita sulla liberazione di Auschwitz. Un pomeriggio tornò a casa e disse a mia moglie, Lucia, che aveva suggerito questa cosa durante una lezione d’Italiano e la sua professoressa ne era rimasta entusiasta, come i suoi compagni, e che ora avrebbero scelto un testo adatto, poi avrebbero coinvolto anche l’insegnante di musica e quella di Arte, avrebbero allestito degli essenziali fondali, e che verso gennaio sarebbero stati pronti a esibirsi. Ovviamente aveva pensato che fosse opportuno che anche sua nonna Marta Jenner sarebbe dovuta essere presente. Ma feci in modo che l’invito che mia figlia volesse fare a mia madre fosse tenuto, per così dire, congelato per qualche tempo. Mio padre ci aveva lasciato da poco e vedevo mia madre comportarsi in maniera strana, quotidianamente era come assorta, come se avesse iniziato un dialogo mentale con qualche presenza non visibile. A volte mi preoccupavo perché ci metteva molto a rispondere al telefono se la chiamavo, altre volte le vicine mi fermavano per dirmi che le tapparelle di casa rimanevano chiuse tutte il giorno e non udivano né passi, né altri suoni o rumori provenire dall’alloggio, nemmeno della tv che mia madre ascoltava di norma ad alto volume perché non sentiva bene da un orecchio.
Poi, un paio di settimane fa, andammo tutti a trovarla di domenica. Marta bambina iniziò a ghermire la Marta nonna, le accarezzava le mani, le allargava il caftano spiegazzato, cercava di scoprirsi negli occhi della nonna, io e Lucia cercavamo blandamente e fintamente di riprenderla, mentre l'altro mio figlio Adriano si rimpinzava di biscotti al cioccolato che rubava dalla scatola di latta che mia madre teneva al centro del tavolo in soggiorno, alla fine Marta piccola le disse la cosa della recita, mia madre ebbe un moto d’interdizione, poi annuì e disse semplicemente:
- Verrò.
Mia madre aveva avuto sempre un modo rapido e sbrigativo per liquidare quel passaggio della sua vita. L’internamento nel lager. In fondo era una bambina di cinque-sei anni al momento dei fatti. Non lo nascose, e comunque anche se lo avesse fatto, non sarebbe cambiato molto per me e i miei fratelli, lei non ci diceva e noi non chiedevamo, anche perché nostro padre ci reguardiva nel farlo. Ci diceva:
- Lasciatela tranquilla! Ha sofferto molto… la fareste stare male. Volete far stare male la mamma che vi ama tanto?
Certo che non volevamo. Almeno fino a quando siamo stati bambini.
Io ero il fratello maggiore, mia sorella Eliana era nata dopo due anni da, mentre Davide era il più piccolo.
Eravamo una famiglia piuttosto regolare, padre lavoratore, madre casalinga, figli studenti, la settimana passata in casa tra pranzi, cene, libri, compiti, discussioni di politica tra i miei genitori in periodo elettorale, lavatrici che girano, ferri da stiro che sbuffano, turni per andare in bagno al mattino, spese al mercato, vestiti che io ereditavo da mio cugino Gianluca e che dopo un tre anni passavano a mio fratello, sabati pomeriggi passati a passeggiare in centro in via Garibaldi o Via Roma, domeniche mattine a trovare in alternanza mia nonna Miriam Levi o i nonni Quaglino, le vacanze passate in Liguria ad Albenga, due settimane in pensione; frequentavamo poco la chiesa, visto che mia madre era ebrea e comunque mio padre aveva sentimenti tiepidi verso la religione, ma noi bimbi eravamo comunque battezzati,arrivando a fare anche la prima comunione e la cresima.
Poi crescemmo, ed iniziarono quelle che mia madre chiamò “le sciagurate beatitudini dei miei figli”.

27 gennaio 2007

La memoria di un giorno
Prima parte


Lo scatto della serratura schiusa dal movimento della chiave nella toppa aveva provocato un rumore sordo che aveva rimbombato grave nel pianerottolo in un modo che non ricordavo. Entrai nell’appartamento dove mi accolse una penombra di cui comunque avevo dimestichezza. Mia madre teneva le persiane quasi sempre abbassate per metà nel pomeriggio. La chiamai con la voce roca che mi aveva regalato l’essere sorpreso fin da quella mattina dalla pioggerellina che cadeva fitta su Torino.
- Mamma?
Non ebbi risposta, almeno non subito, ma avvertii l’inconfondibile fruscio del corpo di mia madre che sfregava contro i versanti della poltrona in soggiorno. Attraversai il corridoio e mi affacciai. Mia madre si strava stropicciando il viso con il palmo della mano aperta. Rimasi fermo appoggiandomi con la spalla al muro coperta dalla carta da parati a motivi floreali che mio padre odiava tanto.
Mia madre sbadigliò, aprì e chiuse gli occhi in una rapida sequenza ripetuta un paio di volte, poi mi fissò, per un secondo circa, come se mi vedesse la prima volta, poi assunse un’espressione di gran dignità e finalmente disse:
- Oh ciao Ernesto.
- I miei omaggi signora.
- Oh la signora è tua moglie, io non ho mai avuto l’aspetto di una dama, magari di una brava sposa, quello è stato il mio massimo grado nella società.
Mentiva spudoratamente. Se c’era una donna nel condominio che poteva lontanamente assomigliare ad una figurina delle sfilate parigine quella era mia madre, pur non essendo alta aveva una fisico asciutto e dei bei capelli neri e lisci che teneva sempre legati in una leggera crocchia. Il naso semita scendeva verticale a dividere il suo volto levigato e bianco. Le tre gravidanze portarono il ventre e i fianchi a farsi ampi, ma solo dopo i quarant’anni inoltrati. Aveva un’eleganza sobria, da brava donna della media borghesia. Senza il gusto per l’eccentrico, ma per il buon taglio dei vestiti di pregiata foggia. La moglie di un impiegato di banca, poi vicedirettore di filiale. Mio padre Giovanni.
- A che ora è la recita di Marta?
- Alle 20 e 30.
- Che ora è adesso?
- Le 19
- Mi dovrò iniziare a vestire.
- Stai tranquilla ci mettiamo una ventina di minuti ad arrivare.
- Magari c’è traffico.
- Tutto calcolato, se partiamo per le 19 e 45 siamo alla scuola di Marta anche per le 20 e 10, operazioni di parcheggio comprese, quanto ci vuoi mettere a vestirti, un’ora?
- Magari un’ora no… ma dammi un quarto d’ora, una mezz’ora al massimo, vedi manca poco.
- Semmai, hai mangiato?
- Non ho fame.
Si alzò dalla poltrona e si mise in piedi, passò le mani sul caftano blu scuro che indossava, poi si diresse alla tapparella del soggiorno e la tirò su, scostando le tende si mise ad osservare il cortile del condominio in cui i particolari di pareti, angoli, finestre, balconi, ringhiere, garage, tetti, vetrate, comignoli si smarrivano nell’imbrunire del giorno.
Le arrivai di fianco, notai il suo profilo corrucciato in una espressione interrogativa.
Le chiesi:
- Tutto bene mamma? Te la senti di uscire?
Lei si voltò e con un gran respiro, rispose:
- Sì, certo. È che… è un periodo…
- Non è che ti disturbi vedere lo spettacolo?
Mia madre si allontanò da me e dalla portafinestra del balcone. Fece un paio di passi nel soggiorno, poi agitò la mano destra vicino alla testa, come in un gesto teatrale di saluto. Si voltò e mi disse:
- Sai non ci avevo mai pensato molto da quando ero tornata da Auschwitz.
- Lo so, non ne parli mai. Capisco, sai…
- Ma se non né ho mai parlato di cosa vuoi capire?
Fui colto in contropiede, non riconoscevo in lei quella particolare insofferenza. Forse avevo fatto una gaffes.
- Sono tornata a Torino che era l’inizio del ’46. la guerra qui era finita da nove mesi. Ma era un’anno che avevo lasciato il lager. Io e mia madre ci mettemmo mesi per capire in che recondito angolo d’Europa ci avevano sbattute, adesso ci puoi andare anche in un giorno lì, ma nel ’45, la guerra aveva distrutto le vie di comunicazione e ….
- Sì, certo, lo so ho letto “la Tregua” di Primo Levi, la sua Odissea, anche lui tornò a casa dopo peripezie e un giro fino a Russia, Ucraina e Romania..
Mia madre mi fulminò severa. In quarantacinque anni era la prima volta che mi stava parlando della sua esperienza ad Auschwitz, ed io non trovavo di meglio che fare il “professorino”. Proprio come mi chiamava a volte mio figlio Adriano.
- No, scusa, mamma… hai ragione, vai avanti…
Lei scosse un po’ la testa, e disse:
- Vado a vestirmi, parliamo dopo.

24 gennaio 2007

Quando lavorare è come andare in guerra.
Le guerre, si sa, causano migliaia di morti, anche decine di migliaia, anche centinaia di migliaia.
Ormai le notizie che ci giungono dal medio Oriente sono così uguali a se stesse che sembra che ad esplodere sia sempre la stessa macchina piena di tritolo, sempre lo stesso kamikaze sullo stesso bus, sempre la stessa raffica di mitra sullo stesso capannello di uomini alla ricerca di un lavoro, sempre lo stesso razzo sullo stesso mercato, sempre la stessa imboscata allo stesso plotone in ricognizione, sempre la stessa operazione di ricerca terroristi nella stessa casa di civili inermi.
Da qui l’odore della guerra non arriva. Ho letto che è un odore che sa di merda e sangue. No, sta male farlo arrivare fin qui. Noi abbiamo già troppo da fare con le targhe alterne e le polveri sottili per permetterci di vedere ed annusare la guerra.
Certo è che certi numeri fanno pensare che anche qui da noi serpeggiano scenari militareschi, operazioni autoritarie, battaglie di civiltà e/o per avamposti petroliferi. Almeno è quello che si potrebbe desumere se si sapesse che in Italia, nei primi 9 mesi del 2006, ci sono stati 1141 decessi che si possono legare ad una determinata causa violenta. Che però non è la guerra. Mi riferisco in realtà al numero di morti bianche sul luogo di lavoro. I dati sono forniti dall’Anmil (Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro) che alla vigilia della Seconda Giornata nazionale della sicurezza del lavoro presenta un rapporto da cui emerge infatti un aumento del due per cento delle morti bianche nell'industria e nei servizi, settori dove si contano il 90 per cento degli incidenti.
La maglia nera per le morti bianche nei primi mesi del 2006 va al Nord Ovest: 326 vittime contro le 296 dello stesso periodo del 2005. Nel dettaglio, la Lombardia conta 206 vittime, seguita dal Veneto (108) e dall'Emilia Romagna (109). In Campania si sono registrate 63 morti bianche, in Sicilia 70 ma - precisa l'Anmil - si tratta di numeri che si riferiscono solo ai casi denunciati. Se si potesse contare anche il sommerso, che al Sud supera in molti casi il lavoro regolare, la realtà fotografata sarebbe ancora più agghiacciante.
Accanto al lungo elenco delle morti bianche, uno ancora più lungo, che allarma l'Anmil: quello delle tantissime vittime di infortuni "meno gravi". Nei primi nove mesi del 2006 se ne sono registrati in tutto 865.204, di cui 780.675 nell'industria, commercio e servizi.
Tutte queste migliaia di lavoratori infortunati hanno diritto ad indennizzi molto più bassi rispetto al passato. E questo, dice l'Anmil, in seguito alla normativa che ha introdotto il danno biologico e che, paradossalmente, ha peggiorato gli indennizzi ai lavoratori infortunati. Per esempio, un lavoratore infortunato che perde tutte le dita della mano destra, nel caso abbia moglie, un figlio a carico e una retribuzione superiore alla media, percepisce il 14,33% di rendita in meno (2.440 euro l'anno) rispetto al regime precedente al decreto del 2000. La differenza in negativo sale al 62% in caso di perdita del dito mignolo, al 40% per sordità completa unilaterale, e al 26% in caso di perdita del pollice sinistro e del primo metacarpo.
Nel frattempo, l'avanzo di gestione dell'Inail continua ad aumentare a ritmi di due miliardi e mezzo l'anno ed ammonta attualmente a 12 miliardi. Per l'Anmil, i risparmi sulle prestazioni erogate in favore degli invalidi del lavoro e il surplus di risorse provenienti dai premi assicurativi non sono stati indirizzati al miglioramento delle prestazioni per grandi invalidità e per quelle permanenti. Per questo motivo, andrebbe aperto un tavolo con le forze sociali per affrontare "in modo serio" il problema della tutela delle vittime degli incidenti e delle malattie professionali.
Ora, dico io, adesso che finalmente un presidente della Repubblica ha riconosciuto in un discorso di Capodanno che il problema del lavoro esiste anche in termini di sicurezza della salute e non solo in sicurezza nel trovarselo e tenerselo, non sarebbe il caso di risparmiare un po’ in spese militari, magari andandosene dall’Afghanistan, e investire un po’ di più in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro, magari sviluppando la stessa industria che crea sistemi per rendere privo di pericoli l’effettuare un mestiere?
Certo se poi i miei colleghi la smettessero di salire sui tavolini per attaccare al soffitto i festoni creati nel laboratorio di arte dai miei utenti, magari si risparmia anche qualche euro sugli indennizzi per infortuni e la finanziaria è più leggera.

20 gennaio 2007

Tira una brutta aria.
Ieri a Torino è stata una bellissima giornata di maggio.
Sole, vento caldo di phon, luce, belle ragazze camminavano sorridenti in centro, magari consumando un bel gelato al cioccolato e amarena, da ogni borsetta spuntava una bottiglietta d’acqua, è naturale che mi venisse una gran voglia di farmi un aperitivo in un dehors di un bar o di correre a casa a gonfiare le ruote della bici per farmi un giro, magari lungo corso Casale, risalendo il Po da Piazza Gran Madre, costeggiare i Murazzi e poi il Borgo medievale, la precollina, puntare poi per Cavoretto e raggiungere il Parco Europa, stendersi su un prato con la schiena madida di salute e le tempie che battono veloci e regolari.
Ma non siamo a maggio, è gennaio. E c’erano 25°, quando invece dovrebbero essercene si e no un paio. Così invece di sentire piacevole questo tepore, mi è venuta una gran paura di questo tempo pazzo. Ma è poi veramente pazzo? O è stato fatto impazzire dalla mano dell’uomo?
L’Europa del Nord è devastata dal ciclone “Kyrill” che ha finora causato 44 morti e diversi problemi di ordine pubblico, nonché danni a cose e abitazioni. Nei tg si affollano meterologhi che spiegano e commentano le correnti ascendenti e direzionali che vorticano sul Continente. Ma servono a spiegare perché nelle grondaie delle nostre case nidificano gli Ibis che sono uccelli Africani e non si sono mai visti in Europa se non importati in gabbiette da trafficanti di animali esotici?
Tutto va un po’ alla rovescia, tutto può indurre a sentirsi smarriti.
In fondo è capitato anche l’altro giorno a Genova, durante l’udienza del processo per i fatti della caserma Diaz, dove al tavolo degli imputati ci sono 29 agenti e funzionari di Polizia che fecero irruzione nella scuola dormitorio la notte tra il 21 e il 22 luglio 2001 durante il G8 di Genova (93 persone picchiate e arrestate e poi prosciolte dai giudici e divenute parte offesa). Tutti sono accusati, a vario titolo, di lesioni gravi, violenza privata, danneggiamenti, perquisizione arbitraria, percosse. Ma anche di falsità ideologica, calunnia per aver orchestrato il ritrovamento nella scuola adibita a dormitorio di due bombe molotov e di aver "preconfezionato" l´accoltellamento di un’agente. Il tutto allo scopo di giustificare in qualche modo il blitz e la mattanza che ne è seguita. Ma durante il dibattito di mercoledì scorso è saltata sù una sorpresa allarmante: le molotov in questione non ci sono più. Non si trovano in Questura, anzi risultano ancora repertate nel fascicolo contro i ragazzi e le ragazze aggredite all’interno della scuola Diaz e non in quello del processo in corso. Dato che le molotov non si trovano il tribunale ha ordinato che non potranno essere ascoltate le testimonianze relative alle bottiglie incendiarie fintanto che queste non saranno ritrovate. Il processo proseguirà con l’escussione di testi non collegati al ritrovamento delle molotov. Ora le ricerche proseguiranno, ma fintanto che non saranno trovate le bottiglie incendiarie il processo rimarrà congelato nella sua parte più delicata. Senza contare il fatto che per alcuni reati c’è il rischio prescrizione. «Le fotografie di un oggetto - ha commentato l’avv. Alfredo Biondi, difensore del vicequestore Pietro Troiani - non possono sostituire l’oggetto corpo del reato, che deve essere materialmente riconosciuto». E dal supporto legale alle vittime della violenza del G8 già s’ironizza amaramente che le molotov siano finite nella scatola nera di Ustica.
Ora visto che le molotov in questione erano prove a carico di Polizia, non c’era modo di conservarle in un luogo diverso che da una questura? Un po’ come se le prove a carico nei processi contro Berlusconi vengano conservate nella villa di Arcore. Ma la prassi giuridica immagino sia tale che la questura sia il luogo deputato ad accogliere certi elementi di un processo, anche in quelli che vedono coinvolti poliziotti; certo è che qualcuno si sarebbe dovuto accorgere che non parliamo di Montalbano…. minchia!! Sento parlare che ora sia ineludibile il varo di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle questioni del G8. Ma risolverà qualcosa? Ricordo che altre memorabili commissioni d’inchiesta diedero risultati scialbi, buoni solo a lavarsi la coscienza come nel caso della tragedia del Vajont nel 1963.
Per la coscienza civile di questo paese tira davvero una brutta aria, e questa volta i meterologhi non bastano a spiegare che correnti ci siano in ballo.

16 gennaio 2007

Aria di casa mia

Se ci si affaccia dal balcone di casa mia si possono vedere chiaramente una varietà di cose interessanti: una corona di montagne a volte grigie e a volte marroncine (saltuariamente con la cima spizzicata dalla neve), Corso Grosseto con la sua sopraelevata ricca di traffico scorrevole, un orto abusivo, una stazione di servizio in costruzione, un cortile con un graffito votivo alla Madonna (ma il muro appartiene ad un bassofabbricato dove c’è un pornoshop!!), capannoni aziendali, solidi condomini in direzione del centro (alla mia sinistra) e casette ad un paio di piani in direzione periferia (alla mia destra), molto cielo terso, scorci del supermercato all’ingrosso della Metro, e se ti sforzi, verso est, ad un paio di km, vedi sorgere una massicciata brulla, dove, di giorno, tutto intorno volteggiano vispi uccelli simili a gabbiani (un gabbiano alla periferia di Torino? Ma va….) e alla sera invece scorgi dei fuochi (riti satanici? Acqua….). Ecco quella è la discarica Amiat di Basse di Stura, che deve il suo nome ad un fiumiciattolo che passa lì vicino e che si chiama, appunto Stura. Dove cento anni fa le massaie ci lavavano i panni, ed ora si condensano gli scagazzanti scarichi di mezza città e di diverse aziende limitrofe. Fra le quali la Rockwood. Questo stabilimento, che da lavoro a un 200 miei concittadini, è la sede di una filiale di una multinazionale americana leader nella produzione di pigmenti per vernici. Così è capitato che alcuni tecnici mandati dall’ASL 1 hanno riscontrato la «visibilità» di polveri di color rosso nel raggio di 400 metri dai reparti di lavorazione, quindi al di là dell’area occupata dalla fabbrica nel loro mirino.
A Torino abbiamo anche un Procuratore Aggiunto, scassamarroni, che si chiama Raffaele Guariniello, come avrete capito non è un puro subalpino di stirpe sabauda, quindi c’è sempre un sacco di gente che ce la su con lui perché non si fa i cazzi suoi, che andasse a Catania a fare le inchieste e non rompesse le piemontesissime scatole qui, che noi si paga le tasse per “Roma ladrona” come dice Borghezio (uno che di civiltà s’intende come io di fisica quantistica). Ebbene la Asl a chi va a dare il suo rapporto sulla zona di basse di Stura, ma proprio a Guariniello! Risultato: l’apertura di un nuovo fascicolo giudiziario, si andrà a fondo sugli eventuali effetti di quelle polveri sulla salute di lavoratori e cittadini che vivono nei palazzi vicini all’azienda.
Ma che sarà mai un po’ di polverina rossa nell’aria! Orsù bisogna dare colore alla vita!
Certo, ma se sta cacchio di polverina, anzi pigmento per le vernici, è prodotta utilizzando ossidi di ferro, solfocromati e piombo, a me qualche sudorino mi viene. Guarda caso uno studio epidemiologico, sempre della Asl, rileva nella zona delle Basse di Stura una maggiore incidenza di patologie respiratorie - anche tumorali - nella popolazione, bambini compresi, tra i fattori, oltre allo stile di vita (scarsa prevenzione, fumo, alcol) c’è anche il pesante inquinamento ambientale. Sulla sponda sinistra dello Stura, come detto c’è la simpatica discarica Amiat con i suoi gabbiani satanisti, a destra industrie inquinanti e, sino a poco tempo fa, l’inceneritore della Sardinia.
Ora mi dico: la politica è fatta di gente seria, adesso vedi come si faranno sentire in Provincia! Ed infatti, un consigliere DS, puntualizza che “Sono state decise contromisure, applicati filtri e pannelli per nascondere lo stabilimento alla vista di chi proviene dall’aeroporto”. Bella roba! Io rischio di beccarmi un tumore perché sono circondato da discariche e fabbriche inquinanti e voi vi preoccupate se un passeggero di un aereo in atterraggio magari si scandalizza alla vista di un inestetico capannone! Con il rischio che il suddetto passeggero è anche un “bauscia” e poi dice che Torino è un sacco sempliciotta… e no! Che poi Chiamparino (sindaco di Torino) se la prende a male!
E alla Rockwood che fanno? Intendono porre la questione dell’occupazione prevalente rispetto a quella ambientale. Che per quei lavoratori magari farà piacere sapere che non si profilano licenziamenti o chiusure o ricollocazioni dello stabilimento, ma insomma i polmoni sono anche i loro, e le cronache di Porto Marghera magari dovrebbero insegnare qualcosa…
Poi mica mi aspetto miracoli io dalla Rockwood… insomma loro sonno americani, mica l’hanno firmato il protocollo di Kyoto… ma se devo portare la maschera antigas per buttare il sacchetto di rifiuti organici (perché nella mia zona si fa una rigorosa raccolta differenziata porta a porta!), beh… magari potevate dirmelo prima di aprire un mutuo!

12 gennaio 2007

La memoria di te

Da quanto tempo sei con me
senza saperlo.
Da quante primavere mi sussurri la tua tenerezza
senza saperlo.
Da quante lune fai l’amore con me
senza saperlo.
Da quanti passi mi mostri gli scorci di questa città
senza saperlo.
E non sei concreta, non lo sei più per me.
Sei odore di bosco che non vuol lasciare il mio ricordo
sei curiosità che mi misura l’anima e non se ne va.
Mi ritrovi ogni tanto nei tuoi pensieri?
O io solo coltivo la memoria di te,
della nostra musica,
dei nostri corpi quieti dopo il sussulto della passione,
delle nostre parole regalate come perle sopra i tetti
di una città sbigottita e senza guida.
Io solo ricordo i nostri sapori giovani ed aspri?
O passeggiando per le vie del mercato del Balon
anche tu ti sorprendi a riviverci mano nella mano,
col nostro riso felice e sciocco,
e le labbra che sanno del primo bacio.
La tua vita ora è meglio.
La mia vita ora è meglio.
Non cercarci è ovvio.
Non c’è ragione per farlo.
Meglio scegliere di vivere il presente al massimo.
E apprezzare il nostro passato come una carezza del destino.
Cullare il nostro ricordo,
per amare meglio chi ci sta accanto.
Capire che abbiamo ciò che ci fa felice.
Potrei allora, finalmente, abbandonare l’idea del suicidio della nostra innocenza.
Non voglio più maschere.
Voglio il mio volto, il mio sguardo sicuro,
le mie parole sincere, la mia mano che protegge.
Ma se m’incroci, ti batte forte il cuore
diventa come il mio.
Facciamoli correre allora,
ritornerrano, e non ci faranno più male.

09 gennaio 2007

Preferisco.

Preferisco la pizza all’hamburger.
Preferisco il mare alla città.
Preferisco la birra allo champagne.
Preferisco la pace alla guerra.
Preferisco De Andrè a Iva Zanicchi.
Preferisco un amico a “Amici di Maria Defilippi”.
Preferisco un calcio a un pallone a un calcio nel culo.
Preferisco l’ultimo banco alla prima fila.
Preferisco leggere un libro a leggere un rotocalco rosa.
Preferisco il rosso al nero.
Preferisco il granata al bianco-nero.
Preferisco vivere d’emozioni a vivere di rimpianti.
Preferisco masticare una torta a masticare amaro.
Preferisco capire a giudicare.
Preferisco Paperino a Topolino.
Preferisco dare la buonanotte a dare il benservito.
Preferisco avere i capelli lunghi a avere il muso lungo.
Preferisco essere meticcio a essere puro.
Preferisco gridare la mia rabbia a ingoiare la mia rabbia.
Preferisco chi è un po’ diverso a chi è conforme alle norme.
Preferisco gli scritti corsari di Pasolini agl’imprenditori corsari di Montezemolo.
Preferisco l’impegno alla delega.
Preferisco il mirto alla grappa.
Preferisco stare a spasso in bici a stare a spasso senza lavoro.
Preferisco fare l’amore a……. qualsiasi altra cosa.

05 gennaio 2007

Dagli Usa con amore.

La giornata è trascorsa tranquilla, o quasi.
Domani io e mia moglie Anna dovremmo andare al mare, forse a San Remo.
Una capatina di fine settimana. Purtroppo abbiamo provato a contattare alcuni alberghi ma senza successo. Temo che ci sia parecchia gente in riviera in questi giorni per passare l’ultimo finesettimana di festa. Dispiace fare un giro e dovercene tornare a casa in serata perché non c’è un buco in tutta la Liguria. Capitò anche qualche anno fa per un ponte del 2 Giugno. Una delusione. Ma era prevedibile. Bastava organizzarsi qualche giorno prima. Avremmo dovuto farlo anche questa volta. Ma ci siamo decisi solo nelle ultime ore.
Comunque una notizia dagli Iuessei.
Un videogioco sta mietendo polemiche, il suo nome è “Left Behind: Eternal Forces”, lo scopo è la conversione di atei in cristiani, l’uccisione dei non credenti, mentre si avanza di livello pregando. Il tutto svolto in un’apocalittica New York di un futuro imprecisato, dopo che oscure profezie bibliche si sono avverate provocando milioni di morti, una popolazione di atei rischia di cadere nelle grinfie di un finto politico che in realtà è l’Anticristo. Per salvare il mondo, i virtuosi dovranno convertire gli atei al cristianesimo, difendendosi dalle forze del male con la preghiera, ma anche sporcandosi le mani uccidendo i soldati dell’Anticristo. Un esercito russo-arabo ha sterminato la popolazione mondiale, Israele è miracolosamente salvo, i veri credenti sono saliti in paradiso, l’Anticristo è un lugubre rumeno, nonché ex segretario generale dell’Onu, che di cognome fa Carpathia. Il gioco è prodotto da una società vicina agli ambienti evangelici. Gruppi cristiani liberal-progressisti si sono scagliati contro Left Behind, definito a turno “violento”, “pericoloso”, “immorale”, “antitetico al messaggio di Gesù Cristo”, “istruttivo videogioco per la guerriglia religiosa” e persino “negativo per la società civilizzata e la stessa democrazia costituzionale”. I produttori del gioco si limitano a dire che “Left Behind: Eternal Forces” diffonde la preghiera e l’adorazione di Dio e che la base del gioco è il benessere spirituale.
Alla faccia del benessere! Una volta in chiesa ti chiedevano di fare la buona azione quotidiana, fare la carità, leggerti la bibbia. Mica di allenarti al tiro al bersaglio dell’ateo in nome di Dio.
A dire la verità tre quarti dei videogiochi a sfondo non sportivo, si basa sulla pratica dello scontro fisico e dell’uccisione dell’avversario. In guerra, in astronave, in macchina, in regolamenti di conti mafiosi, c’è sempre un motivo buono per uccidere qualcuno e avanzare nel punteggio.
Quella di Left Behind: Eternal Forces è una variante originale, ma non troppo. Negli Usa, dove si contano circa 60 milioni di evangelisti praticanti, i predicatori esercitano tenendo la bibbia in una mano e il fucile nell’altro, nel senso proprio letterale dell’espressione. Il loro motto è “Dio e le armi salveranno l’America”. Qualcosa di simile ai precetti della guerra al terrorismo in Afghanistan e Iraq.
A che punteggio si è arrivati lì?

02 gennaio 2007

Mangiamoci sù!

Cari bloggers come state?
Finita l’abbuffata di gnocchi ai 12 formaggi, di lasagne con pesce spada, melanzane e ananas, di cinghiali farciti di caprioli e condor, di capitoni crudi in salsa di balena marinata, di panettoni nuziali ricoperti di crema e stuccati con marmellata di fragole? Insomma avete finito di smaltire le vostre cene consumate ai veglioni? Magari con l’uso di abbondanti dosi di Fernet Branca e Plasil?
Le statistiche dicono che gl’italiani hanno messo in media sù un paio di chiletti a testa in queste festività di fine / inizio anno. E poi dicono che siamo un paese a declino economico e sociale. Tzè!
Ve lo facciamo vedere noi cari amici dell’Unione Europea, cari amici degli Iuessei, cari amici del made in China, cari amici impiccatori del medio oriente!! Ce ne dite sempre di tutti i colori, ma a tavola vi battiamo 10 a 0! Che ci frega se tra Presidente della Repubblica / presidente del Consiglio/ Leader dell’opposizione fanno insieme circa 220 anni e i vostri leader sono tutti giovani e belli! Noi ci abbiamo la pizza margherita e voi no! Che c’importa se abbiamo Fiat, Telecom, Alitalia, Olivetti, Ilva, Barilla, in crisi e a voi invece l’economia tira che è un piacere! Noi ci saziamo con le tagliatelle al ragù e voi no! Che c’importa se da noi in tv vedi solo reality show in cui ci s’insulta che è un piacere e da voi magari un telegiornale sincero ve lo vedete ogni tanto! Noi ci rimpinziamo di cassata siciliana e voi no! Dicci scemi…..
Ma sì, mangiamoci su. Ma se poi finiscono le scorte in cucina? Ci toccherà mangiarci l’un l’altro?
Bah… già mi vedo le polemiche politiche anche per quello. Mastella che chiede di avere da pappare una gamba in più, perché lui è decisivo al Sud. Bossi che si rifiuta di mangiare un meridionale (buon per il meridionale). Fassino che donerà un ossobuco di operaio a Montezemolo. Casini che benedice al Signore per il cibo donatogli prima d’infilzare Berlusconi con una forchetta. Pecoraro Scanio che, da buon vegetariano, si nutre solo di capelli e unghie. Siamo passati dalla democrazia alla gerontocrazia per finire alla panzacrazia